giovedì 26 febbraio 2009

La strada e la città come spazio privato, di Alessandro dal Lago, Il Manifesto 25 / 02/ 2009

Il buon Franceschini ha dichiarato che Berlusconi è contro la costituzione. Forse l'ha fatto per dare un po' di colore al suo pallidissimo partito e togliere un po' di terreno sotto i piedi a Di Pietro. In ogni caso, evviva. Tuttavia, è solo la metà della storia. Berlusconi è l'attore supremo e il simbolo della trasformazione autoritaria in Italia. Ma c'è una parte entusiasta del paese che lo segue ed è questo che inquieta davvero.
Diamo un'occhiata alla mappa delle ronde pubblicata ieri da Repubblica. Pressoché assenti nel sud, tranne che a Napoli, dove peraltro i City Angels pattugliano saggiamente la zona bene di Chiaia, le ronde si infittiscono verso nord, fino a punteggiare la Padania da Cuneo a Trieste.
Si tratta di iniziative composite e molteplici. Ci sono quelle della Lega, i City Angels, i Blue Berets, gli ex poliziotti o carabinieri, le pattuglie antiabusivi (Venezia), con cane e pettorina (Torino), i nonni-vigili (Genova) e così via. Si va da una certa truculenza della Lega e della destra all'amabilità dei volontari nei parchi, sino, crediamo di capire, a istanze come «riappropriamoci del territorio». Chi sono gli obiettivi di questa montante volontà di controllare? Pedofili, potenziali stupratori, ladruncoli e scippatori, fastidiosi marginali, ambulanti, lavavetri, clandestini, nomadi, barboni. Dunque, per lo più, quei margini o scarti sociali a cui si attribuisce, nonostante la diminuzione costante dei reati, l'allarme generalizzato sulla sicurezza.
E chi sono i rondisti? I cittadini risoluti, i difensori del territorio, le vedette lombarde. Secondo me, qui c'è proprio il punto chiave dell'intera faccenda. Al di là del fatto che magari possono anche non essere esplicitamente di destra, i rondisti dimostrano che il messaggio della Lega ha fatto breccia nell'immaginario locale. Il territorio con al centro la casa. La via come prosecuzione della quiete domestica (una quiete del tutto fantastica, visto che la stragrande maggioranza delle violenze sulla persona e degli abusi sessuali ha luogo in casa). La strada come estensione della fabbrichetta. Dunque, la privatizzazione dello spazio pubblico. Come è noto, in uno spazio privatizzato non si danno conflitti. Per il momento, se qualcuno si oppone pubblicamente alle ronde, interviene la polizia. Ma giorno verrà in cui saranno i difensori del territorio a stabilire chi ha diritto di manifestare in pubblico.
Apparentemente, la cautela del governo verso le ronde, che per il momento non sono armate e vanno autorizzate, è all'insegna della protezione della legalità e contro gli abusi. A me sembra soprattutto la costituzione di cinghia di trasmissione tra poteri e soggetti. La costituzione di un autogoverno senza contenuti.
I cittadini, non più divisi dal conflitto sociale e tacitati sugli interessi, si coalizzano contro il buio. Una grande famiglia felice, che sbarra porte e finestre al tramonto.
Ma la crisi economica risveglierà il conflitto, si potrebbe obiettare. E se invece il razzismo democratico, la bagarre perpetua contro i clandestini, la xenofobia di stato, la mobilitazione locale delle ronde non fossero esattamente la strategia per governare il conflitto che incombe, e cioè il fondamento di un regime autoritario e consensuale?

domenica 22 febbraio 2009

City Angels

Da Il Manifesto di sabato 21 febbraio
Domenica 22 febbraio 2009

Un militare per ogni bella donna, aveva detto qualche settimana fa Silvio Berlusconi mettendo in barzelletta la violenza sessuale con lo stesso spirito lieve con cui è solito trattare di Auschwitz o dei desaparecidos. Detto fatto, un decreto legge e avremo non un militare ma una pattuglia di ex militari, ex guardie, ex qualcosa in pensione, arruolati dai prefetti in funzione di angeli custodi delle (belle) donne. City Angels, nell'inglese dei serial polizieschi. In italiano, ronde. Nipotini delle camicie nere, nel lessico sbrigativo che circola nelWeb.
Gli angeli custodi non saranno armati e non saranno volontari, anzi dovranno a loro volta passare qualche test ed essere schedati, tanto per prendere con una sola fava due piccioni sulla strada della società della sorveglianza. Che cosa faranno sul piano pratico ci verrà svelato da un altro decreto, di Maroni, a breve. Che cosa faranno sul piano simbolico invece è già chiarissimo.
Primo, servono a dare un ennesimo colpo allo stato di diritto, cooptando un pezzo di società civile nelle funzioni statali di sorveglianza e repressione e dividendo la cittadinanza in controllori e controllati. Secondo, servono a nutrire l'immaginario collettivo, maschile e femminile, con una bella iniezione di rassicurazione. Non temete, donne, i vostri uomini vi proteggeranno. Non temete, uomini, siamo ancora in grado di proteggere le nostre donne. Da chi? Dallo stupromigrante, s'intende. Se ci fossero dubbi, la costruzione del decreto legge di ieri parla da sé. Si chiama decreto antistupro, e mette in fila misure emergenziali contro la violenza sessuale, misure emergenziali contro gli immigrati, misure emergenziali a favore delle ronde. Una sequenza che è una filosofia: gli altri stuprano le nostre donne, noi le proteggiamo con i nostri uomini. In inglese non sapremmo. In italiano, paternalismo autoritario.
Lo stesso, né più né meno, che Berlusconi ha tirato fuori sul corpo inerme di Eluana Englaro, sostituendosi a spintoni al padre impotente per presentarsi come padre onnipotente, «io salverò questa vita per decreto». Non era vero, ovviamente, come non è vero che gli angeli custodi ci salveranno dagli stupri. Ed era improprio allora l'uso della decretazione d'urgenza contro un atto legittimato da alcune sentenze, com'è impropria oggi la decretazione d'emergenza contro un reato, lo stupro, che è - purtroppo - tra i meno emergenziali e i più banalmente normali. Si dice spesso - è stato detto e ridetto, da destra, per legittimare le guerre «contro il patriarcato islamico» - che il livello di una civiltà si misura col termometro dei rapporti fra i sessi. Se questo è vero, la civiltà del nostro paese è scesa a un livello alquanto basso. Con l'assenso, va da sé, della ministra alle pari opportunità e di quante come lei penseranno che sì, finalmente un governo «che decide» sulla violenza sessuale. Finalmente un uomo forte che ci manda gli angeli custodi. Ci servono armi nuove per contrastare un delitto antico che si presenta in forme nuove. Ci serve sapere che cosa autorizzi e legittimi, nella mente maschile «straniera» e «nazionale», una pulsione di asservimento, distruzione e revanche che si scarica nella violenza sessuale. Quale cultura nazional-popolare trasmessa ogni sera in tv, e quali attriti culturali transnazionali acuiti da fili spinati, centri di permanenza e barriere simboliche. Quale mito dell'uomo forte, nel ruolo dello stupratore e in quello dell'angelo, in combutta con quale mito della donna a corrente alternata, velina oggi vittima domani. Il resto è propaganda. Per decreto.

di Ida Dominijanni

sabato 21 febbraio 2009

progetto BETA: La Zona di R. Plà

http://www.mymovies.it/trailer/?id=54609

La Zona di R. Plà

http://www.mymovies.it/trailer/?id=54609

La Zona è un quartiere ricco, circondato da un muro che lo divide dal resto della città, video-sorvegliato 24 ore su 24, al cui interno vige un apparente stato d'eccezione ( che nel corso del film si rivelerà ordine perfettamente congruente con quello vigente nel resto della città) che permette ai residenti di provvedere autonomamente alla sicurezza del quartiere. Un furto, un omicidio, spari, altri omicidi. Un clandestino rimane intrappolato nella Zona. Scatta la caccia all'uomo. Crollano una dopo l'altra le barriere costituite dai diritti della persona; uno dopo l'altro viene a cadere ogni presunto appiglio alla possibilità di giustizia: né la coscienza della legalità dei residenti, né le prerogative della polizia, neppure il senso morale dei singoli individui. Una spirale violenta che porta al linciaggio collettivo dell'intruso da parte degli appartenenti alla Zona. Poi lo squarcio sul fuori: spazio senza alternative, teatro di figure inermi, comprate, sfregiate, controparte debole della Zona dei potenti ma entrambe parti dello stesso spettacolo. Premiato al Festival del cinema di Venezia nel 2007 con il Leone del Futuro, vedere oggi questo film richiama - senza scampo - le immagini e l'atmosfera respirata in questo presente.

sabato 14 febbraio 2009

Deriva securitaria

http://www.forteprenestino.net/index.php?option=com_content&task=view&id=409
Prima che sia troppo tardi
Sandro Mezzadra, Il Manifesto 12/02/2009

Sulle misure discriminatorie (razziste) nei confronti dei migranti contenute nel «pacchetto sicurezza» hanno scritto l'essenziale, su queste colonne, Alessandro Dal Lago (venerdì) e Annamaria Rivera (sabato). Altri elementi li ha aggiunti Gad Lerner, su Repubblica di domenica. Non ripeto le cose già dette egregiamente da loro e da quanti (tanti, troppo pochi), animati dall'indignazione hanno cominciato a mobilitarsi in questi giorni. Sottolineo solo la drammaticità, il carattere spaventoso, di queste misure nel contesto di crisi generale che stiamo vivendo (e che continueremo a vivere a lungo). Si pensi alla decretazione d'urgenza invocata da Berlusconi come una delle poste in gioco fondamentali nella partita che, con rivoltante cinismo, ha aperto sul corpo di Eluana Englaro e sulle vite straziate dal dolore dei suoi genitori. Scrive Annamaria Rivera, con la poca ironia residua in questi giorni cupi, che vi è «qualche vaga analogia» con gli anni '30. Aggiungiamoci Tremonti, che con il suo sorriso rassicurante e con linguaggio chiaro a «massaie» e «gente semplice» ci spiega la crisi: il lavoro, la produzione, quelli sì sono buoni; «cattiva» è la finanza. Dicevano qualcosa di diverso i nazisti? No, specificavano solo che lavoro e produzione erano buoni in quanto tedeschi, la finanza cattiva in quanto ebraica.Intendiamoci. Non credo che di fronte a noi ci sia il «fascismo». Ma può esserci perfino qualcosa di peggio, di radicalmente nuovo e al tempo stesso terribilmente antico. Vecchio come il razzismo, nuovo come è il tempo che viviamo, un tempo in cui pericoli immani convivono accanto alla possibilità di reinventare l'uguaglianza e la libertà. Razzismo: una cosa diversa dalla «xenofobia». Xenofoba è la signora che dichiara al Tg1 che «non ne può più», che bisogna cacciare a calci in culo questi «zozzi», i rumeni e gli albanesi. Razzista è quello che Alessandro Dal Lago chiama lo «stigma ufficiale», impresso sui corpi dei migranti dalla legge, dallo Stato.Vogelfrei, «liberi come uccelli», venivano definiti nel basso medioevo germanico i soggetti, poveri e malati, mendicanti e vagabondi, che erano talmente liberi (privi di protezione) da poter essere trattati come uccellagione nella stagione della caccia. Quando oggi incontrerete un o una migrante, nelle vostre città e nei vostri paesi, davanti a voi ci sarà un uomo o una donna «libero/a come un uccello». Non sono bastati i pogrom di Napoli, la scorsa primavera, a scuotere le nostre coscienze? Perfetto, oggi ci sono i linciaggi, i corpi cosparsi di benzina e incendiati, le fucilate. E tutto questo, per tacere delle italiche peculiarità, dentro una crisi devastante del capitalismo globale. Che ricorda il '29. Non basta ancora?Una grande mobilitazione generale, una rivolta civile dei giovani dell'onda e dei pensionati, delle associazioni cattoliche e dei «democratici», dei centri sociali e dei boy scout, della Cgil e del sindacalismo di base, del giornalismo indipendente e pure di quello dipendente, se ha una coscienza: di questo c'è bisogno, a partire da ieri. O è più importante la soglia del 4% alle europee o l'accordo con la Lega sul federalismo e sulla giustizia?Il 7 ottobre del 1989, dopo l'assassinio a Villa Literno di un ragazzo sudafricano, Jerry Essan Masslo, vi fu a Roma una grande manifestazione. Quella manifestazione ha aperto una straordinaria stagione di mobilitazioni anti-razziste e di lotte dei migranti. La paura e il delirio sicuritario sono cresciuti negli anni successivi, oculatamente incoraggiati in un autentico spirito bipartisan, fino a condurci dove siamo oggi. Ma li abbiamo contrastati, tenacemente, duramente, conquistando anche vittorie grandi e piccole. Possiamo tornare allo spirito del 7 ottobre del 1989, ben sapendo che tutto è cambiato da allora? Possiamo costruire una grande manifestazione unitaria contro il razzismo, magari in una delle cittadelle della Lega, a Treviso o a Verona, a Brescia o a Bergamo? Costruiamola insieme. Subito, prima che sia troppo tardi. Ne va delle vite di centinaia di migliaia di donne e di uomini in questo paese, ed è questo l'essenziale. Ma ne va anche della possibilità di costruire un'uscita in avanti dalla crisi che stiamo vivendo.
Un altro passo verso il baratro
Annamaria Rivera, Il Manifesto 07/02/2009

Il culto delle feste in costume sboccò nel fascismo, scrive Adorno in «Minima moralia»: aforisma perfetto a illustrare l'approdo fascistoide del folclore padano e con esso dell'Italia berlusconiana. Approdo perfettamente incarnato da uno degli artefici più entusiasti del ddl sicurezza: quel senatore Bricolo che alterna gli interventi in aula in dialetto veneto con l'esaltazione di Mussolini, le vecchie battute da osteria su questioni serie come i matrimoni misti - «Moglie e buoi dei paesi tuoi» - con la trovata della norma che invita il personale sanitario alla delazione contro i «clandestini», ovvero gli ebrei di oggi. Un certo Cicchitto trova che evocare gli anni '30 sia fare dell'umorismo involontario. Solo un poveretto ignaro della storia, dimentico della democrazia e della civiltà giuridica, nonché privo del senso del tragico, può non cogliere che in effetti vi è qualche vaga analogia. C'è un sentore di fascismo -non più solo il consueto razzismo trasandato all'italiana - nelle norme-manifesto approvate l'altro ieri dal Senato: al di là del loro contenuto, pur grave, l'intento è anzitutto quello d'imbarbarire ancor di più il clima del paese, additargli un capro espiatorio, imprimergli lo stigma del reietto, renderlo più docile e sfruttabile come forza lavoro, legittimare il sospetto, la discriminazione, la delazione come normali comportamenti di massa. La sollecitazione, di fatto, al personale sanitario perché denunci gli irregolari che accedono alle cure; la legalizzazione delle ronde padane quantunque non armate. Il reato d'immigrazione clandestina. La gabella fino a 200 euro per il permesso di soggiorno. Il carcere fino a quattro anni per gli irregolari che non rispettino l'ordine di espulsione. Il rafforzamento e l'estensione della possibilità di sottrarre la potestà genitoriale (indovinate a chi?). Il divieto d'iscrizione anagrafica e la schedatura non solo dei clochard, come si dice, ma anche di un buon numero di cittadini italiani -rom, sinti e non solo- che, abitando in dimore diverse da appartamenti, saranno schedati in un registro del ministero dell'Interno. Tutto questo configura un intento persecutorio verso migranti e minoranze, dettato più che da razionalità politica, da meschino calcolo economico e demagogico, connesso con quelle forme di psicosi di gruppo -fobia, ossessione, mitomania- che spesso contraddistinguono le élite politiche populiste e autoritarie. C'è un sentore di fascismo nell'incoraggiamento alla delazione, ora sancito per legge, estendendo così sul piano nazionale ciò che da tempo è norma e prassi soprattutto nelle repubbliche delle banane governate dalla Lega Nord: per esempio in quel di Turate, monocolore leghista, dove il comune invita ufficialmente i cittadini alla denuncia, anche anonima, degli stranieri irregolari. A onor del vero, un bell'esperimento di delazione anonima di massa è anche l'accordo siglato a Torino fra il Comune e la rete delle farmacie, presso le quali dal 1° ottobre scorso si raccoglievano (forse si raccolgono ancora) informazioni su rom, poveri, senza-casa, mendicanti, posteggiatori abusivi. A dimostrazione che, davvero, la cultura sicuritaria e razzista egemone nel paese è trasversale agli schieramenti politici come alla società detta «civile» per esagerare. La pratica delle squadre speciali e della delazione, anonima e non, sono, come si sa, strumenti insostituibili di ogni regime dittatoriale. Suvvia, non parliamo di nazismo, dice quel tal Cicchitto. Va bene. Ma certo, se non ci si lascia ingannare da ciò che permane dell'involucro democratico, alcuni elementi che connotano lo stato del paese appaiono allarmanti. Preoccupante è la saldatura, ormai anche «sentimentale», che lega il discorso e l'operato di istituzioni centrali e locali con il senso comune più diffuso o almeno reputato più degno di esprimersi: attraverso la delazione e le azioni squadristiche. Insomma, la connessione fra il razzismo di stato e quello popolare, fra la persecuzione e il pogrom, ma anche, benché più sottilmente, fra la cultura politica della destra e quella di buona parte dell'opposizione parlamentare non fanno presagire niente di buono. Chi si è trastullato con retoriche e misure sicuritarie nel corso della passata legislatura ha evocato mostri che oggi minacciano non solo di rendere l'Italia un paese strutturalmente razzista ma anche di divorarne la democrazia.Lo sfaldamento del tessuto sociale, un ceto politico da operetta, la volgarità imperante nei mezzi di comunicazione, il degrado profondo della società civile, l'avanzare, insieme alla crisi economica, di quella forma di incertezza e di disgregazione morali, oltre che sociali, che accende il desiderio di capi carismatici: no, non siamo nel '29 né in Germania, ma di sicuro sull'orlo di un precipizio. Spetta alle minoranze, malgrado tutto disseminate nella società italiana, tentare di agire perché si faccia quel passo indietro che impedisce di precipitare nel baratro.
Fuori legge
Alessandro Dal Lago, Il Manifesto 06/02/2009

È come se la politica della sicurezza in Francia fosse dettata da Le Pen. Le misure approvate al Senato descrivono il baratro in cui è caduta l'Italia, oggi il paese occidentale in cui una parte consistente della popolazione residente è letteralmente perseguitata in nome di un'ideologia xenofoba e del ricatto della Lega. Da oggi, la discriminazione degli stranieri diventa stigma ufficiale, un marchio legale impresso sull'esistenza, sui corpi e sulle possibilità di vita di chi è già privo di diritti, escluso o marginale. Una vergogna che ci coinvolge tutti e che rende oscena ogni mediazione tra opposizione e maggioranza, anche su qualsiasi altro argomento. Intendiamoci. Con queste misure, il governo va a caccia di guai e di ulteriore riprovazione internazionale. La possibilità per i medici di denunciare i clandestini non potrà che ripugnare alla coscienza umana e professionale di chi si sente vincolato al giuramento di Ippocrate. Non è difficile prevedere su questo punto una vasta obiezione civile. Quattro anni di carcere a chi si è sottratto all'espulsione significano intasamento degli uffici giudiziari e delle carceri, nonché nuove prigioni e Cpt. La tassa sul permesso di soggiorno è una gabella rivoltante che una società opulenta impone a chi cerca solo di sopravvivere con il proprio lavoro. Le ronde, armate o disarmate che siano, sono uno scotto pagato alla brama di delazione e di menare le mani che spira direttamente dalle osterie lombarde. Quanto al registro dei senza tetto, eccoci tornati al virtuale imprigionamento dei poveri dell'Inghilterra settecentesca. Sono norme grottesche e in larga parte inattuabili, ma che diffonderanno il terrore tra chi vive già nell'angoscia dell'esclusione. Misure indegne della costituzione. E vedremo se passeranno il vaglio delle supreme autorità. In ogni caso, dimostrano ampiamente quanto abbiano ragione, in Brasile o in Francia, quelli che dubitano della giustizia italiana. Una volta di più, la responsabilità di questa inarrestabile deriva razzista non è esclusivamente della destra. Se un partito xenofobo impone le sue ossessioni a gente che ha la faccia tosta di proclamarsi cattolica o liberale, è perché sente il consenso di fondo di gran parte del ceto politico, compreso quello che è minoranza in parlamento. Magari non sulle singole norme, ma sulla cultura che le sottende. L'oscena equazione «insicurezza uguale immigrazione», lo strepito bipartisan che ha visto metter alla gogna lavavetri, mendicanti, marginali, ambulanti e così via. Un consenso che non evita all'opposizione un declino inarrestabile, in un paese che si contorce senza fine nella paura.