giovedì 7 ottobre 2010

lunedì 4 ottobre 2010

venerdì 24 settembre 2010

MEMORIE SOLIDE - ESPOSIZIONE DI LEYLA E HASSAN VAHEDI


ITALIA FILM
VIA GAETANO MARTINO 35, 00139 ROMA
dal 15 ottobre 2010 al 31 gennaio 2011
dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 19

INAUGURAZIONE VENERDI' 15 OTTOBRE ORE 19



Un centinaio di lavori a olio su tela di Hassan Vahedi e le linografie di Leyla Vahedi saranno esposti presso gli ampi locali degli studi di Italia Film.
Punto di partenza del lavoro di Hassan Vahedi è l'attualità sociale e politica. I conflitti militari, le tensioni sociali, l'ingiustizia mettono in moto la produzione di questo operaio del colore, passando attraverso il suo severo sguardo di esule, a casa propria ovunque.
Le icone e i feticci della società mediatica hanno ispirato i nuovi dipinti di Hassan, esposti in questa mostra. Le immagini provenienti dalla televisione, dai giornali, dalle riviste vengono ricontestualizzate, rimodulate e ricomposte su una superficie di grande impatto visivo e di forte attualità nelle forme, attraverso un richiamo all'astrattismo. Le tinte sono forti, violente e decise, com'è proprio della tavolozza di questo artista in continua innovazione.
Le stampe delle linografie di Leyla Vahedi testimoniano le tappe di un percorso di studio e ricerca iniziato nel 2007. Sono stampe dai tratti tagliati, spigolosi, icastici, lineari, su cui successivamente è stato sperimentato il ritocco con diverse tecniche di colore, dall'acquerello agli smalti: incisione e sottrazione, cromatismo e riempimento.




Hassan Vahedi è nato il 10 novembre 1947 a Teheran, dove si è diplomato in pittura e scultura alla locale Accademia di belle arti. Ha partecipato insieme a letterati ed artisti del suo Paese al gruppo "Talere Iran", non gradito al regime dello scià. Costretto all'esilio, è giunto in Italia nel 1974, ha studiato pittura con Montanarini e Trotti e scultura con Fazzini e Greco all'Accademia di belle arti di Roma. Risiede e lavora a Roma con studio in via Sirte n.40/a. Ha partecipato a numerose mostre collettive e personali in Italia ed all'estero.
www.hassanvahedi.com

Leyla Vahedi, nata nel 1984, dipinge sin da piccola nello studio del padre pittore e scultore. Laureata in storia della filosofia, negli anni dell'università si avvicina alla pittura a olio e all'incisione, partecipando a diverse estemporanee e esposizioni. Ha studiato e continua a studiare incisione, anatomia artistica e disegno dal vero presso la Scuola di arti e mestieri S. Giacomo di Roma e in privato.Vive e lavora a Roma.

Italia Film
Via Gaetano Martino, 35
00139 Roma

martedì 15 giugno 2010

Mercoledì 16 giugno ci vediamo sotto la Regione Lazio, via Rosa Raimondi Garibaldi n. 7 dalle 9,30 alle 13 per manifestare la nostra protesta.




Hassan Vahedi, olio su tela, 2009

Ru486, dopo il blocco della pillola abortiva operato dalla Giunta della Polverini, Vita di Donna onlus chiama a raccolta tutte le donne, gli uomini, gli operatori della sanità, le forze politiche e della società civile per protestare contro la mancata applicazione della legge 194.

Mercoledì 16 giugno appuntamento alla Regione Lazio.


Il governatore Polverini ha di fatto bloccato la somministrazione della pillola RU486, che era cominciata nell'Ospedale G.B.Grassi, con sei donne che ne avevano già fatto richiesta.

Sostiene che non tutti gli Ospedali possono usufruire di questa procedura e che servono dei posti letto dedicati. Nonostante l'evidente cavillosità dei due argomenti, con i quali costringe le donne del Lazio ad andare in Toscana o in Puglia, o a sottoporsi all'intervento chirurgico, chiediamo di sapere subito sia i posti letto che gli Ospedali autorizzati.

Chiediamo che la Legge 194/78 venga rispettata, e rispettato il diritto delle donne a scegliere la metodica per eseguire l'interruzione della gravidanza.

Subito libertà di scelta per le donne.

domenica 11 aprile 2010

Presentazione del nuovo libro di Geraldina Colotti, La Guardia è stanca, Roma, Corto Circuito, giovedì 15 aprile 2010.

ROMA
GIOVEDì 15 APRILE 2010 ORE 21.00

C.S.O.A. CORTO CIRCUITO E ASSOCIAZIONE YA BASTA MOLTITUDIA

invitano alla presentazione de

"LA GUARDIA è STANCA" di Geraldina Colotti - edita da Cattedrale
Dopo Versi Cancellati (1996) e Sparge Rosas (2000), " La guardia è stanca" è la terza raccolta di poesie di Geraldina Colotti, scrittrice e giornalista del quotidiano “Il Manifesto” , ex-militante delle Brigate rosse.

L’appuntamento con i versi e con l’autrice è per giovedì 15 aprile alle ore 21 al Corto circuito

(Via F. Serafini, 57 – Cinecittà – Roma).
Neve

Ancora inverno
nessun Palazzo preso
L’uomo beve
cammina solo
Ancora inverno
nessun Palazzo preso
Tatiana ammicca
Storpi di Sarajevo
Irina in macchina
vomita l’Ingegnere
Ancora inverno
nessun palazzo preso
ma abbiamo ancora inverno
per impastare neve

Un uomo senza sogni
è un vincitore

Geraldina Colotti, tratta da La guardia è stanca.

Partecipano:

Tommaso Di Francesco (poeta, giornalista de “il manifesto”)
Mario Lunetta (poeta, scrittore)
Luca Mascini (Militant A, di Assalti Frontali)
Modera: Miria Annini (Ass.Ya basta Moltitudia)
Letture accompagnate dalla musica di Marco Cinque.

Mostra “2010 Dias de R_Esistencia” di Simona Granati, che ha realizzato la foto di copertina.

Info: tel. 3492310920

www.moltitudia-yabasta.blogspot.com; www.geraldinacolotti.it; www.corto.circuito.info

sabato 6 marzo 2010

CARLA LONZI, IL CONGEDO DAL PATRIARCATO di Maria Luisa Boccia


Leyla Vahedi, olio su tela 60x80, 2007

FARE DIFFERENZA
Critica d'arte, sovvertitrice del ruolo dell'opera e dell'artista. Militante e teorica, pioniera della pratica dell'autocoscienza e autrice di testi tutt'ora imprescindibili come «Sputiamo su Hegel». Il volto poliedrico di Carla Lonzi, figura inaugurale del femminismo italiano, al centro di un convegno e di una riscoperta editoriale
Per la prima volta l'opera di Carla Lonzi viene riproposta in una nuova edizione, in tutto fedele a quella originale. Nel primo volume sono raccolti gli scritti a sua firma, composti tra il 1970 e il 1972, e quelli a firma del gruppo femminista Rivolta Femminile, la cui stesura si deve sempre alla sua mano.
Nella primavera del 1970 a Roma si ritrovano per giorni e giorni tre donne, Carla Accardi, Elvira Banotti e Carla Lonzi, per il bisogno di esprimere l'emozione e lo scatto di coscienza provocati in loro dalla ripresa del femminismo nel mondo. È Lonzi a scrivere il testo, scandendo in frasi concise e folgoranti quelli che saranno i principali temi del neofemminismo. Con la pubblicazione nel luglio del Manifesto di Rivolta Femminile si formano i primi gruppi di Rivolta, prima a Roma e Milano poi in molte altre città, attorno alla pratica, lì enunciata, del separatismo e dell'autocoscienza. Nell'estate dello stesso anno Lonzi scrive Sputiamo su Hegel, titolo irriverente di congedo dalla cultura patriarcale. Un invito rivolto innanzitutto a quelle femministe che, per la propria liberazione, si affidano più alle teorie e forme di lotta degli uomini che non alla riflessione su di sé.
Per Lonzi questo congedo è innanzitutto un cambiamento di vita netto e radicale. Segnato soprattutto dal rifiuto dell'emancipazione. Interrompe la professione di critica e per tutta la vita dedicherà se stessa alla pratica femminista. Alla scrittura, alla casa editrice di Rivolta, alle riunioni dei gruppi di autocoscienza, ai rapporti con le tante donne che, soprattutto attraverso gli scritti, entrano in contatto con Rivolta Femminile. Sul piano privato questo comporta la dipendenza economica da Pietro Consagra, una scelta tutt'altro che indolore, oggetto di critiche e riserve, poco o nulla compresa nel femminismo. Ma alla quale rimane sempre aderente, in modo convinto.

Promesse mancate
Nel 1970 Carla Lonzi è una donna adulta, con esperienze importanti alle spalle. Nata a Firenze il 6 marzo 1931, primogenita di due sorelle e due fratelli, si è laureata nel 1956, con una tesi in storia dell'arte, Rapporti tra la scena e le arti figurative dalla fine dell'Ottocento, discussa con Roberto Longhi. Un lavoro edito postumo da Olschki, nel 1996, avendo lei rifiutato la proposta di Longhi di pubblicarla e dare così inizio alla professione accademica. Nel 1959 ha un figlio, Battista, con Mario Lena, chimico industriale e sindacalista. Vivono in Toscana, Carla scrive poesie e collabora a riviste e a programmi Rai sull'arte. Ma è dopo l'incontro con Pinot Gallizio, e poi con Carla Accardi e Pietro Consagra, che il suo lavoro si concentra sugli artisti contemporanei. Cura diverse mostre, personali e collettive, dei più importanti esponenti delle avanguardie di quegli anni: dal gruppo «Forma1» a Paolini, Pascali, Kounellis, Nigro, Fontana. Nel 1962 cura due importanti mostre a Torino, la prima al Valentino, «L'incontro di Torino», con pittori degli Usa, dell'Europa e del Giappone, la seconda alla galleria Notizie, «Artisti americani: Kline, De Kooning, Nevelson Tobey, Hultberg, Borduas, Rothko, Gottlieb, Simpson, Mitchell, Twombly».
Nel 1969 esce da De Donato Autoritratto, libro-convivio, composto dal libero montaggio di brani tratti da colloqui con quattordici artisti, registrati tra il 1962 e il 1969. È l'opera più importante di Lonzi critica ed è uno dei testi più belli e originali sull'arte degli anni Sessanta. Quando decide di porvi termine ha insomma raggiunto maturità e affermazione nell'attività professionale. Tuttavia vive con frustrazione profonda l'inautenticità di una realizzazione di sé affidata all'inserimento nella società maschile. Nel bisogno di trovare altre strade vi è la spinta personale al femminismo. E si stringe quel nesso forte tra biografia e pensiero che è la cifra più autentica del suo pensiero e dei suoi scritti.
La consapevolezza con cui Lonzi avverte il bisogno di alternative non è certo comune allora tra le donne. Potenzialmente di tutte è però la scoperta che l'emancipazione è una promessa mancata. Perché non mette davvero fine al destino tradizionale, ma soprattutto perché nell'uguaglianza o parità con l'uomo una donna non trova risposte esistenziali, politiche e culturali al senso di sé.
Negli anni Settanta tutto il femminismo, come fenomeno mondiale, si cimenta con questo nodo. Rivolta Femminile lo fa con la pratica della presa di parola, sia orale che scritta. Già nel 1970 nasce la casa editrice «Scritti di Rivolta Femminile» che avrà in seguito due collane: i «libretti verdi» ospitano i testi dell'autocoscienza, i «prototipi» quelli di confronto con la cultura maschile. È la prima esperienza in Italia che si misura con l'esigenza dell'autonomia, creando un'impresa, misurandosicon i problemi dei soldi e del mercato, con discreto successo. Nel 1974 esce la raccolta degli scritti di Carla Lonzi e di quelli firmati da Rivolta. E già nel 1975 il libro è tradotto prima in Argentina, poi in Germania.
Sono gli anni di massima espansione del femminismo, contrassegnati anche da importanti avvenimenti: la vittoria del No al referendum sul divorzio, i processi per reato di aborto a Padova e Trento, poi l'irruzione della polizia in una clinica di Firenze. Sull'aborto si hanno le prime, grandi manifestazioni di massa che accendono l'interesse dei media, dei partiti e dell'opinione pubblica. Ma la mobilitazione per l'aborto produce anche un mutamento significativo all'interno del femminismo. Alla proliferazione dei gruppi e alla creazione di una rete di incontri, scambi e comunicazione di esperienze si affiancano, finendo spesso per sostituirsi alle pratiche originali, le modalità più tradizionali dell'iniziativa politica. Dal corteo, appunto, alla rivendicazione della legge, al rapporto, sia pure conflittuale, con le istituzioni.
In questo passaggio dal femminismo al «movimento femminista» Rivolta Femminile non si riconosce. Anzi prende esplicitamente distanza, sia sul merito dei contenuti, in particolare sull'aborto, sia sulle forme politiche. Basta leggere Sessualità femminile e aborto per misurare quanto sia lontano questo approccio dalla richiesta della legalizzazione dell'aborto. Quelle pagine oggi possono aiutare a riflettere su qual è il cambiamento necessario che nessuna legge, nessuna riforma sociale può soddisfare. Un aiuto analogo può venire dalla lettura di Sputiamo su Hegel, rispetto alla crisi, sempre più vistosa, che da tempo investe la politica, il suo linguaggio, le sue regole, le sue organizzazioni.
Nonostante si sia aperta questa divaricazione tra la propria pratica e il movimento femminista Rivolta Femminile non si scioglie, come accade invece a molti gruppi di autocoscienza. Naturalmente vi sono mutamenti e fasi alterne. Alle riunioni settimanali dei diversi gruppi si sostituiscono alcuni incontri allargati di due o tre giorni tra tutte le donne di Rivolta. Spesso hanno luogo a Turicchi, la casa in Toscana di Carla Lonzi e Pietro Consagra. Le riflessioni stimolate da questi incontri vengono raccolte in due volumi a più voci: È già politica (1977) e La presenza del femminismo (1978). Peraltro Rivolta Femminile non si appaga del suo percorso interno, isolandosi dal contesto politico e dal modo in cui vi trova posto il movimento femminista. Cerca un'interlocuzione, prende posizione sulle falsificazioni e semplificazioni, effetto della divulgazione mediatica delle idee e pratiche femministe, a partire da quelle che la coinvolgono. Ma non trova riscontro in un contesto fortemente dominato dalla contrapposizione ideologica e politica tra movimenti e sistema politico. Ne offro solo due esempi.
Nel gennaio 1975 Carla Lonzi invia al Corriere della Sera il testo Sessualità femminile e aborto, in risposta a un articolo di Pier Paolo Pasolini che aveva denunciato la mancata messa in questione, da parte delle femministe, del legame tra eterosessualità, procreazione, aborto. Il giornale non lo pubblica. Lonzi scrive allora una lettera a Pasolini, come gesto di riconoscimento della reciproca differenza, senza ricevere alcuna risposta.
Il 5 febbraio 1978 invia una lettera a L'espresso per confutare la riduzione del femminismo a movimento, la sua filiazione dal Sessantotto e dunque la sua riduzione a costola femminile di ideologie, rivoluzioni e rivolte degli uomini. Viceversa, scrive Lonzi, è malgrado il Sessantotto che le giovani donne del movimento hanno preso coscienza di sé; scardinando parole d'ordine, modi di far politica e miti dei loro compagni. Anche questa lettera non sarà pubblicata. Privilegiando da sempre la comunicazione, Lonzi e Rivolta Femminile, con questi e altri gesti, mostrano di aver ben compreso l'importanza della rappresentazione mediatica. E la necessità di interloquire con chi la produce.

Un anno doloroso
La pubblicazione nel 1979 del diario Taci, anzi parla rappresenta una tappa decisiva. Non è solo un documento prezioso del personale percorso di Lonzi, o una ricostruzione degli eventi diversi che si intrecciano nella complessa vicenda femminista di quegli anni. In quelle pagine si trovano gli interrogativi, gli ostacoli e le scoperte che una donna deve affrontare, dal momento che non si riconosce più in un'identità femminile precostituita. Il 1979 è anche un anno doloroso per Carla Lonzi. Si apre una crisi nel rapporto con Consagra che darà luogo a un periodo di separazione. Lonzi registra il lungo colloquio tra due coscienze e, con il consenso di lui, lo pubblica in Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra, dopo che il rapporto è ripreso (1981). È l'ultimo libro dato alle stampe da Lonzi.
In quei mesi torna a manifestarsi il tumore di cui era stata operata nel 1968 a Boston. Carla sta lavorando sul teatro di Molière, in particolare su Le preziose, alla ricerca di situazioni di rapporti tra donne e uomini che possano costituire dei precedenti storici, rispetto all'esperienza di Rivolta. Sebbene sofferente, si sente carica di energia: «ho fatto una mia estate. Ero veramente felice», dice in un'intervista a Quotidiano donna. Rinvia i controlli fino all'ottobre 1981. È operata il 15 dicembre a Zurigo. Dopo una lunga convalescenza, muore a Milano il 2 agosto 1982. Rivolta pubblica postumi, nel 1985, Scacco ragionato. Poesie dal '58 al '63, nel 1992 raccoglie in Armande sono io! i materiali su Le preziose.

Conflitti irriducibili
Negli anni ottanta il femminismo vive un secondo passaggio: dall'attore politico collettivo «il movimento» al «femminismo diffuso». Mentre sul terreno più propriamente politico si parla di riflusso, non si arresta, anzi si estende e arricchisce, il cambiamento nelle vite e nelle soggettività femminili. In modi e con scelte spesso molto diverse rispetto a quelle della generazione «storica»di femministe, sono sempre di più le donne che cercano nella consapevolezza di sé una differente misura per le scelte di vita. Insomma il cambiamento avviene con modalità che corrispondono a quelle di Rivolta, molto più di quelle del movimento politico. Seppure con altre pratiche, con la creazione di centri, riviste, case delle donne, collettivi di ricerca e studio, anche la realtà femminista appare meno divergente dall'esperienza del gruppo. Ma né Lonzi né Rivolta sono assunte a diretto riferimento. Probabilmente l'ostacolo è proprio l'immagine costruita dai media sul femminismo anni settanta: quella dei cortei sull'aborto e sulla violenza sessuale, della chiusura nel separatismo, del conflitto irriducibile con gli uomini. Ci vorrà una maggiore distanza perché la parola di Lonzi torni a essere attuale e comunicativa e si rinnovi l'interesse per il suo femminismo, originale e originario. Nel 1990 esce il mio L'io in Rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, la sola monografia a lei dedicata. Ma è in questi ultimi anni che si è avuto un susseguirsi di studi, convegni, tesi di laurea.
Per sostenere e far crescere questo rinnovato interesse non vi è modo migliore che offrire a un pubblico, crediamo vasto, di lettrici e lettori i suoi testi.

articolo pubblicato sul Manifesto del 4 Marzo 2010

giovedì 11 febbraio 2010

Dove sono Joy, Hellen. Florence, Debby e Priscilla, le giovani migranti nigeriane incarcerate dopo la rivolta dell'estate scorsa al Cie di Milano?



Hassan Vahedi, olio su tela, 2009





Dove sono Joy, Hellen. Florence, Debby e Priscilla, le giovani migranti nigeriane incarcerate dopo la rivolta dell'estate scorsa al Cie di Milano? Si sta cercando di renderle mute e invisibili, persino di nasconderle? Si sta cercando di privarle del diritto alla difesa? Si sta cercando di seppellire nel silenzio la denuncia di una di loro contro l'ispettore capo per tentato stupro?

Domande inquietanti su cui è necessario fare piena luce. Si tratta di capire se in questo Paese siano state sospese le garanzie a tutela delle persone indagate e se si stia violando il rispetto dei diritti umani fondamentali.

Vogliamo chiarezza e trasparenza sulla situazione delle cinque donne nigeriane incarcerate, così come delle altre migranti, invisibili e senza nome, detenute nei Cie italiani. Vogliamo che tutte abbiano un nome, vogliamo che siano rispettati i loro diritti, vogliamo che abbiano la possibilità di comunicare con l'esterno e di far sentire la propria voce. I Cie sono luoghi di violenza, e ne chiediamo la chiusura. Ma nel frattempo avvocate e associazioni di donne devono potervi entrare.

Abbiamo saputo solo ora che fino ad oggi Joy era formalmente priva di assistenza legale per errori burocratici. Al suo avvocato, che si era recato al carcere di Como insieme ad una interprete per raccogliere elementi utili a integrare la denuncia di tentato stupro, è stato impedito di vederla, dicendogli che era stato "revocato" e "sostituito" dalla stessa Joy. Nessun documento scritto però testimoniava. Risultava soltanto una nomina all'avvocata assegnatale inizialmente d'ufficio, che Joy peraltro non ha mai accettato e che nemmeno conosce. Oggi ci spiegano che l'incarico all'avvocato D'Alessio non era stato ratificato per "disguidi tecnici" (!) e solo dopo innumerevoli pressioni si sono detti disposti a riconoscerlo.

Come mai si è ostacolato l'incontro con l'avvocato dopo la deposizione della denuncia di violenza sessuale? Come mai si impediscono i contatti con l'esterno proprio nel momento in cui si allarga la mobilitazione di molte donne che richiedono con forza che Joy e le altre non siano rimandate tra le mani dei loro aguzzini?

A questo punto ci risulta che Joy dovrebbe essere ancora detenuta nel carcere di Como, Hellen dovrebbe essere a Brescia, Priscilla a Mantova. Ma perchè non si riesce a sapere in quale carcere siano state condotte le altre due nigeriane?

Il silenzio che avvolge l'esistenza stessa dei Cie, luoghi di sospensione dei diritti, e l'indifferenza generalizzata verso la violenza razzista e sessista che in quei luoghi è di casa,ci fa interrogare in primo luogo in quanto donne.
Chiediamo non solo alla stampa, ma all'intera città di riflettere sul livello di abuso e di non-umanità cui ci stiamo abituando.


La violenza sui senza voce mostra il volto estremo di una devastante crisi di civiltà che ha mille facce, dalla precarizzazione della vita e del lavoro fino alla criminalizzazione dei migranti in nome di ipocrite politiche securitarie.

E una volta di più corpi di donna al centro di questa spirale di violenza, nodo cruciale su cui nel privato, nel pubblico e nell'oscurità dei Cie si gioca la partita dei poteri vecchi e nuovi.







Le donne che si sono incontrate al presidio del 25 novembre in piazza Cadorna e che vogliono rompere il silenzio di Milano sulle violenze nei Cie




Per contatti: 2511@inventati.org







Appuntamenti:

giovedì 1 febbraio

Roma: ore 16.30 metro Piramide, volantinaggio di donne, femministe e lesbiche

venerdì 2 febbraio

Como: ore 6.30 di mattina davanti alla stazione di Albate Camerlata Fs. Dalle ore 7 in poi davanti al carcere in via Bassone 11 ? per aspettare Joy!

Brescia: ore 8.45 fuori dal carcere di Verziano (Bs):?presidio con striscioni, musica e interventi fuori dal?carcere, dove si terr?anche una conferenza stampa.

Per partire tutt* insieme appuntamento alle 8.15 al c.s.a. Magazzino47 di Brescia.

domenica 31 gennaio 2010

Geraldina Colotti, La guardia è stanca, Cattedrale 2010, ISBN: 9788895449890






Esce nelle librerie la terza raccolte di poesie di Geraldina Colotti (13.50 E, 112 pagine), La guardia è stanca, dopo gli sfacciati e ironici Versi cancellati (Roma 1997) e le spine e i muri di Sparge rosas (Lecce 2000). Un filo viene annodato lungo tutte e tre le raccolte, è il filo dell'impegno, della lotta, della sopravvivenza. La guardia è stanca è il bisogno di porre un argine, un limite, di mettere in chiaro come stanno le cose. Poesia che è una pietra dura, un sasso, una roccia. La guardia è stufa di tanto accapigliarsi, parlare addosso. Con un colpo di fionda, l'Assemblea costituente è chiusa. Con la stessa immediatezza dell'esclamazione del comandante della guardia, Geraldina rintraccia le orme del passato nel presente, e limpidamente, con l'impegno che la contraddistingue, legge quel presente con crudezza e lucidità. Le poesie di Geraldina sono pietre, scogli di uno stretto, una zona di confine, un sottile interstizio posto tra personale e storia, una crepa che da queste stesse pietre viene smascherata: il confine non si vede più, è l'autrice ad aver tessuto e annodato la piazza che si sveglia alle proprie cicatrici di pietra.



dalla quarta di copertina:

COME SONO FATTI I PRESAGI?

Come strane cartoline dipinte con i piedi e con la bocca da artisti dozzinali e mutilati? In questa terza raccolta di versi, Geraldina Colotti prosegue il suo originale percorso, confrontandosi ancora con l’universo accidentato della vita, dell’impegno e del disincanto. Dire poesia civile è riduttivo. Siamo all’incrocio fra i territori dell’io e quelli della storia. Siamo nel punto in cui la drasticità della scelta si ribalta nel grottesco della burla, e nell’amaro della solitudine. È una sorta di doppio gioco, evocato nell’esclamazione che dà titolo al libro. Stanco è il marinaio che, irridendo i notabili borghesi, chiude il parlamento russo decretando il sopravvento del potere bolscevico. Stanco è il militante del Novecento, perplesso e spaesato di fronte a un tempo cinicamente dimentico di classi, lotta e disciplina. In queste pagine, Geraldina Colotti conferma la sua ripugnanza per ogni genere di arroganza o vittimismo. I momenti più intensi, ancora una volta, sono quelli dedicati agli anni Settanta, alla lotta armata e al carcere. Ma l’Italia allucinata di oggi emerge con forza in brevi lampi di invettiva e di ironia. È uno spazio, quello del reale sfigurato, a cui l’io non può sottrarsi anche dettando i suoi verbali più intimi. A conti fatti, graffia la parola che mette in gioco se stessa nell’inventario sterminato del mondo.

da Carmilla on line, recensione di Valerio Cuccaroni:
A cinque anni di distanza dal suo ultimo libro, Certificato di esistenza in vita, raccolta di racconti pubblicata da Bompiani, con La guardia è stanca Geraldina Colotti torna a interrogare, in versi stavolta («versi ciechi / di rabbia che consuma»), le coscienze dei lettori, sempre più incupite da «questo grigio tempo bastardo / che teme la vita».
Giornalista de «il manifesto», responsabile dell'edizione italiana del mensile «Le Monde diplomatique», reduce da 27 anni di carcere per la sua militanza nelle Brigate Rosse, Colotti è una di quelle scrittrici italiane di cui è impossibile trascurare la biografia, sebbene questa non oscuri mai l'opera, grazie a quel raro dono della leggerezza che permette all'autrice di evitare accuratamente le paludi dell'autobiografismo.

Così come in Certificato di esistenza in vita distanziava la materia della narrazione attraverso la finzione, nelle sue poesie, a partire da Versi cancellati (1996) e Sparge rosas (2000), Colotti dosa sapientemente la componente engagée con una vivissima e destabilizzante carica ironica.
Assolutamente non domestica, eventualmente si potrebbe definire carceristica (per decenni essendo stato il carcere la sua dimora), verrebbe da dire che Colotti è un poeta incivile, perché richiama continuamente, sottotraccia, la necessità di rovesciare il sistema. A partire dal sistema linguistico.
Le armi usate sono quelle dell'ironia, dunque, e della polisemia. L'ironia è la cifra dell'intera raccolta, ma esplode in tutta la sua perturbante carica soprattutto in una poesia che sembra parlare dell'igiene orale e, allo stesso tempo, alludere alla lotta armata: «Kit / Odontovax / Ricarica doppia / Azione totale / Ma attenzione / a non ledere / papille interdentali / [...] / Semtex / Ricarica doppia / Pasta gengivale / Saltano corone / tremano poltrone / sotto il trapano» (Ricarica doppia). Gli oggetti di consumo si rovesciano in strumenti di contestazione, il linguaggio del supermercato diventa la lingua della poesia, secondo un procedimento teorizzato nel poemetto dada Le teste di Modì: «Luogo mio da cui / Non si vede luogo, / batti le mani e canta, / mia lingua rovesciata / afferra l'anima per la vita / portala con te al supermercato».
La polisemia, caratteristica intrinseca della lingua che si oppone all'univocità, diventa strumento per opporsi al pensiero unico: dal calembour, che toglie la parola all'avversario disarmandolo - «Contro il liberismo, / versoliberismo» (Poeticanti) - all'antanaclasi, che ha portata argomentativa - «Guerra santa in Terra santa» -, e alla paronomasia - «fai buon viso / al cattivo giogo» (Recinti).
In Sparge rosas il discorso era frammentario, formato da testi isolati, reperti di anarchia linguistica, gli unici possibili, del resto, quando ancora l'orizzonte era quello chiuso della Vita galera («Vita non vita / esercizi di stile / esercizi di bile»). Ne La guardia è stanca i giochi di parole, gli agguati al linguaggio sono inseriti in un piano di sviluppo: le sezioni Ai soli distanti, Le teste di Modì, Genova 2001, Palestina, Neve funzionano come altrettanti capitoli di un romanzo breve in versi, un romanzo di controinformazione, che, in forma ellittica, com'è proprio della poesia, dà conto non solo della sorte degli sconfitti (i soli distanti, i guerriglieri, i terroristi sconfitti, rifugiati a Parigi: «il sole inutilmente chiede asilo», in Rive gauche) ma anche, e soprattutto, delle nuove forme di ribellione e resistenza (le «rondini inquiete» di Genova 2001, i Palestinesi, i migranti dei Cimiteri marini, per i quali «La morte arriva puntuale / il mare a forza nove / entra nella stiva / porta alla deriva»).
La figura dominante non appartiene più a quelle di parola o di suono, come accadeva nelle raccolte precedenti, ma è una figura di pensiero: l'allegoria. I ragni, le rondini, la luna, le rose, i soli, il fiume, il deserto, i topi, che affollano La guardia è stanca sono altrettante figure allegoriche che simboleggiano strategie (i ragni), stagioni calde (le rondini), utopie (la luna), conquiste (le rose), rivoluzionari (i soli) e rivoluzione (il fiume), sconfitte (il deserto), tradimenti (i topi).
La guardia è stanca, sin dal titolo che richiama la celebre esclamazione con cui il marinaio anarchico bolscevico Zeleznjakov sciolse l'Assemblea costituente nella Russia liberata dell'ottobre 1917, si presenta come un appello ai nuovi figli di una delle tante ribelli del secolo scorso, «dee delle due di notte / dotte / o bollite a metà disperate / però simpatiche mi hai detto» (Amiche).
La situazione storica sfavorevole, del resto, non è ignorata («Dov'è il sacro / Se il dio degli assassini / Dentro il tubo catodico / Ha l'alito di vino? // Sotto i guanti il sangue / della democrazia imperante», Le teste di Modì), anzi è assunta come dato di fatto da cui ripartire: come recitano i versi conclusivi, è «Ancora inverno / nessun palazzo preso / ma abbiamo ancora inverno / per impastare neve» (Neve).

In copertina foto di Simona Granati

E' in preparazione la presentazione a Roma, per altre presentazioni contattare l'autrice: geraldinacolotti@gmail.com

martedì 12 gennaio 2010

CONTROMANO IN CITTA'

documentario presentato al Giardino dei Ciliegi (FIrenze) nell'ambito di