venerdì 20 marzo 2009

p.b.


A proposito della questione degli stupri, ci pare in questo periodo sempre con maggior urgenza necessario prendere la parola, andando oltre -anche se la cosa non è così immediata e semplice- l’aspetto inevitabilmente scabroso della nuda cronaca; oltre all’elenco dei fatti, bisogna che ci diciamo qualcosa di più, che iniziamo a pensarci sù e a vedere attraverso quale prospettiva può aver senso che si senta il dovere di rispondere ad un martellamento (ma li avete visti i nuovi manifesti di FN?) al centro del quale, volenti o no, ci siamo trovate. riflettere sul fatto che il nostro senso di disorientamento a riguardo si manifesta esattamente attraverso l’ incapacità di articolare tra loro in modo sensato i pensieri e le percezioni, ovvero: da un lato cerchiamo di costruire una posizione che riesca a liberarsi della retorica mediatica e poi capita d’aver paura di girare da sole la sera. IN Un articolo di Mezzadra (postato sul blog) è posto -in relazione alla questione del razzismo- il rapporto tra identificazione della strategia di produzione della devianza e costruzione di un nemico da cui difendere gli onesti cittadini da un lato e le reazioni semplici, immadiate e pratiche delle persone dall'altro: è la distinzione-relazione tra xenofobia e razzismo. «Razzismo: una cosa diversa dalla “xenofobia”. Xenofoba è la signora che dichiara al Tg1 che “non ne può più”, che bisogna cacciare a calci in culo questi “zozzi”, i rumeni e gli albanesi. Razzista è quello che Alessandro Dal Lago chiama lo “stigma ufficiale”, impresso sui corpi dei migranti dalla legge, dallo Stato.» Dunque anche chi, incrociando un tizio con una fisionomia "sospettabile" attraversa la strada o accelera il passo perché ha paura di essere stuprata, replica questa stessa specie di rapporto, ancor più problematico perché del livello strategico, che nell'esempio di Mezzadra è il livello propriamente "razzista", ci diciamo consapevoli e critiche. Ma di quale rapporto si sta parlando qui? Cosa corrisponde -nel caso dello stupro- al razzismo, se la xenofobia corrisponde alla fobia di esser violentata, arbitrariamente rivolta a chi incrocia la nostra strada di sera se è buia e vuota? Allo stesso modo il problema è lo stigma ufficiale che qui è più sottile, non ha bisogno di leggi per imporsi: è lo stigma di vittime e di corpi controllabili e controllati che le donne portano su di sé nel sistema dei rapporti di genere che in modo complesso è intrecciato con il sistema di potere che sorregge le contraddizioni più stridenti della nostra società. Quello su cui è necessario concentrare l’attenzione è il fatto che nella nostra società è trasmessa in mille modi la distruzione del “rispetto” per il corpo della donna: dalla medicalizzazione del parto e della gravidanza alla criminalizzazione/stigmatizzazione delle puttane, si insegna che alle donne non è dovuto alcun rispetto: e il silenzio su queste dinamiche non è innocente, non rendersene conto è illegittimo e ingiustificato. Non si costruisce alcun discorso che parli di rispetto, dell'autonomia del corpo e della libertà delle donne, ci si dice caso mai animati dai buoni propositi di proteggerle. Peccato che qui protezione significa controllo (protezione che poi appunto deve riparare ai danni che il mancato discorso sul rispetto del corpo della donna tende a fomentare); oppure l'unico caso in cui si parla di rispetto è quando si dà per scontato che esso vada tributato alle donne rispettabili, categoria romantica costruita funzionalmente al rendere il riconoscimento di alcuni diritti compatibile con un ordine che si vuole tenere in piedi. E la criminalizzazione delle puttane è l'altra faccia di questa farsa di rispetto che viene concesso, l'unico che si fa passare, e che in un modo o nell'altro entra nelle case, via mediaset o altrimenti. La criminalizzazione delle puttane è molto efficace come discorso, la puttana criminalizzata si distingue molto meglio dalla donna che vuole a tutti costi essere rispettabile e lo vuole perché il rispetto e la libertà le vengono continuamente negati e fatti pesare proprio a partire dal sospetto sempre imminente che in ogni donna si nasconda una puttana. Bene, questo rispetto possono tenerselo. La protezione a questo costo possono tenersela. La lotta a mille forme di controllo può partire da qui.
Non si deve accettare di spostare sulle strade un discorso che deve partire dalle nostre case, dove non a caso, e soprattutto non trascurabilmente, si consuma il maggior numero si stupri e violenze: bisogna dunque considerare la funzionalità di tale spostamento e individuare la contraddizione che esso rappresenta. Questa contraddizione si può illuminare ripercorrendo la storia della “privatizzazione della casa” (per citare solo le analisi più celebri: Rich e Gavron) e al simultaneo venir meno di spazi socialmente condivisi come i cortili e le strade dei quartieri; proprio quando le donne iniziano ad aver accesso a tutta la serie di diritti liberali (voto, salario, etc.) le prime ondate di denuncia operate dalle voci del femminismo mettono in luce la persistenza e anzi una nuova configurazione del sistema di controllo e negazione di autonomia e visibilità proprio in quella sfera descritta come privata: il privato viene allora rivendicato nella sua valenza politica; il dato interessante di questa denuncia è che essa arrivava esattamente nel momento in cui la percezione di un profondo mutamento in corso iniziava ad essere messa a tema in molti studi filosofico-politici, al centro dei quali veniva tematizzata la questione del rapporto tra intimità e controllo e indicata la fine della funzione dei grandi luoghi di internamento e un nuovo pervasivo modello di gestione della vita fin nei suoi aspetti più intimi e quotidiani, più privati appunto. Forse la questione dei rapporti di genere e dello stupro come forma originaria di oppressione al pari dello sfruttamento del lavoro altrui, insieme alla nostra evidente incapacità di muoverci in questa contraddizione non fà altro che indicarci una strada molto chiara: quella per cui i modi di opporci ai rapporti di potere imposti dalla fase che attraversiamo devono trovare nuovi corsi e nuovi linguaggi...
Ma è inutile decostruire un discorso tralasciando di decostruirne un altro che affonda le sue radici nelle stesse premesse (quelle della dicotomia tra potere e impotenza) e che di tali strategie discorsive si serve: credere che il discorso di decostruzione del patriarcato abbia assolto i suoi compiti ci inchioda a questa incapacità di prendere una posizione politica forte. Ed un buon contributo in tal senso è dato dalla paura di cadere nelle debolezze pratiche e teoriche del separatismo. Crediamo che questa dinamica e il rischio di questa contraddizione non vada evitato ma attraversato frontalmente, senza scappatoie e soprattutto senza chiedere scusa a nessuno assumere il rischio delle nate libere, delle post-femministe che siamo; senza assumerci questa condizione ci sediamo sulle quote rosa e subiamo, come le donne hanno sempre subito quando non hanno avuto la forza di dire cosa vogliono, oltre a uno "spazio sicuro", e questo è cruciale per capire le differenze tra una denuncia individualistica e inefficace, e un movimento collettivo che davvero riorganizzi i rapporti di potere esistenti. E’ una rivoluzione dei discorsi che sulle donne vengono fatti che va perseguita, a partire dal nostro stesso modo di porci all'interno di questo discorso. Audre Lord: Vogliamo la sorella onnipotente che non ha paura, che farà andare via il dolore, che farà sì che il passato non sia così. Questo per dire che qui non si tratta di progresso - né i cambiamenti avvenuti nei rapporti tra uomini e donne vanno visti come tali - perché nessuna prospettiva “rivoluzionaria” si alimenta con l'immagine dei “liberi nipoti” (anzi è proprio quella a smorzarli e insegnare la chiusura nel bozzolo dei diritti conquistati che automaticamente si convertono in diritti concessi) ma con quella degli “avi incatenati”, per citare una famosa tesi che non a caso si fonda su una riflessione profondissima sulla violenza (Benjamin, tesi di filosofia della storia n.12). Per questo è sbagliato pensare che si debba cercare un progresso nell'emancipazione delle donne ( e per questo è fondamentale criticare questo tipo di prospettiva cogliendola ovunque essa venga riproposta) ma una rivoluzione nel rapporto degli uomini e delle donne con i corpi delle donne, rapporti che si radicano in tradizioni e attitudini impostate su un'insuperata forma di oppressione, che è la stessa per cui un uomo sa di poter stuprare una donna, in mille modi. C'è l'atto fisico, che è il danno, e c'è la beffa: "un militare per ogni bella donna", questo è un secondo stupro fondato sullo stesso meccanismo: l'abuso di potere, per cui nel nostro paese chi - ignorando la storie delle nostre lotte più o meno deliberatamente, ma forte dei suoi poteri economici e mediatici- sa di potersi permettere un’affermazione pubblica di questo tenore.
Due linee: NON IN NOSTRO NOME lo sfruttamento strategico, il secondo stupro rispetto al quale anche non vogliamo essere impotenti e vittime, per cui sui nostri corpi si gioca la carta di una stretta securitaria ancor più pressante e A QUANDO L’EMANCIPAZIONE MASCHILE? A quando l’emancipazione dalle forme di oppressione mentale da cui non ci si riesce a scrollare, fino a quando non ci si addentra nel discorso della critica al patriarcato in modo radicale, senza paura della rivoluzione nei rapporti di potere che a questa rivendicazione consegue, dall'ossessione del sesso e della potenza, dal binomio io-uomo-seggetto-agente stupro la donna/ io-uomo-soggetto-altrettanto-agente la proteggo: è l'immagine della donna passiva che va decostruita, e la retorica della protezione la tiene invece ben salda. Nulla di meglio di Virginie Despontes per spiegare queste in fin dei conti molto semplici posizioni ovvero che tutta la premessa porta a pensare che da donne non è delle donne che dovremmo parlare ma degli uomini, delle posizioni che prendono nel quotidiano, luogo sempre più invaso dal controllo dei nostri pensieri, corpi e sessualità, sulle donne e sulle specifiche forme di violenza a cui è importante ora rispondere PARLIAMO DELLE VOSTRE DI PAURE:
«Angela Davis: "Ma le donne nere non erano solo frustate e mutilate, erano anche violentate". Messe incinte con la forza e lasciate sole ad allevare i figli. E sono sopravvissute. Quello che le donne hanno attraversato, non è solo la storia degli uomini, ma anche la loro specifica oppressione. Di una violenza inaudita. Da qui una semplice proposta: andate tutti a fare in culo, con la vostra condiscendenza verso di noi, le vostre scimmiottature di forza garantita dalla collettività, di protezione puntuale o con le vostre manipolazioni di vittime, voi per i quali l'emancipazione femminile sarà difficile da sopportare. Quel che è difficile, è ancora di essere una donna, e di tollerare tutte le vostre stronzate. I vantaggi che traete dalla nostra oppressione sono in definitiva delle armi a doppio taglio. quando difendete le vostre prerogative di maschi, siete come quei domestici dei grandi alberghi che si prendono per proprietari... dei lacchè arroganti, ed è tutto.
(...) C'è stata una rivoluzione femminista. Delle parole sono state articolate, a dispetto della buona educazione, a dispetto delle ostilità. E continuano a scorrere. Ma, per il momento, niente, riguardante la mascolinità. Silenzio spaventoso dei maschietti fragili. Il vaso è colmo. Il sesso considerato forte, che bisogna proteggere, rassicurare, curare, di cui avere riguardo. Che bisogna difendere dalla verità. Cioè che le donne sono anche loro delle dure, e gli uomini delle puttane e delle madri, tutti nella stessa confusione. Ci sono uomini fatti piuttosto per il raccolto, le decorazioni d'interni e i bambini al parco, e donne strutturate per andare a trapanare mammut, far rumore e imboscate, a ciascuno il suo. L’eterno femminino è una grande buffonata. Si direbbe che la vita degli uomini dipenda dal mantenimento della menzogna. Donna fatale, bunnygirl, infermiera, lolita, puttana, madre benevola o castratrice. (...) Ci si rassicura di cosa in questo modo? Non si sa esattamente ciò che temono se gli archetipi inventati di sana pianta crollano: le puttane sono degli individui anonimi, le madri non sono intrinsecamente nè buone nè coraggiose nè amorevoli, lo stesso per i padri (...) Di quale autonomia gli uomini hanno tanta paura da continuare a tacere, a non inventare niente? A non produrre nessun discorso nuovo, critico, inventivo sulla loro stessa condizione? A quando l’emancipazione maschile? (...) C’è una forma di forza che non è nè maschile nè femminile, che impressiona, spaventa, rassicura. Una facoltà di dire no, di imporre i propri punti di vista, di non tirarsi indietro (...) Il femminismo è una rivoluzione, non una riorganizzazione delle indicazioni di marketing, non una vaga promozione della fellatio o dello scambio di coppie, non è questione soltanto di migliorare i salari integrativi. Il femminismo è un'avventura collettiva, per le donne, per gli uomini, e per gli altri. Una rivoluzione, bene in marcia. Una visione del mondo, una scelta. Non si tratta di opporre piccoli vantaggi delle donne alle piccole acquisizioni degli uomini, ma piuttosto di mandare tutto all'aria. E con questo, ciao, ragazze, e miglior cammino...»

giovedì 19 marzo 2009

il comitato per i diritti civili delle prostitute

da http://www.lucciole.org/content/view/9/3/

In una calda notte estiva un gruppo di “peripatetiche” (1) in attesa dei loro clienti ai bordi del parco di una provinciale cittadina del nord est decisero di riunirsi e protestare contro i cittadini americani della vicina Base militare della potente US AIR Force. I giovani militari della base erano colpevoli di usare violenze verbali e a volte anche fisiche verso le prostitute ed esse decisero che ciò era intollerabile. Come pure era intollerabile la repressione messa in atto dalla polizia. Era il 1982 e il breve ma vibrante comunicato stampa inviato ai giornali locali suscitò un tale clamore sui media nazionali tanto che la faccenda divenne un “caso”.
Nel 1983 quel collettivo divenne una associazione legalmente registrata con il nome di “Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute”, un Manifesto politico fu subito preparato e affisso sui muri della città, vi si rivendicavano i diritti negati alle cittadine prostitute, si domandava la modifica della legge sulla prostituzione.

La visibilità ottenuta attraverso i media ci consentì di allargare la partecipazione ad altri gruppi di prostitute donne e transessuali di altre città che si misero in contatto con noi. La vicenda prese una dimensione tale da essere seriamente presa in considerazione dalle forze politiche e alcuni partiti proposero di portare in parlamento le nostre richieste di modifica della legge. Nel Paese si allargò un dibattito anche a livello culturale e tutti, inclusi alcuni gruppi di femministe, presero a dibattere. Le nostre posizioni sulla prostituzione miravano a far rispettare l’autodeterminazione delle persone che scelgono liberamente di fare le prostitute e depenalizzare tale attività. Il Comitato nel 1983 prese i primi contatti internazionali con le colleghe inglesi dell’english collective of prostitutes e con the rode draad olandese, dopo di che fummo come molti altri gruppi sulla scena internazionale attive nella lotta per la libertà e la dignità delle lavoratrici sessuali.
Convegni, iniziative contro la discriminazione e il pregiudizio, campagne di informazione, sit-in di protesta contro la censura giornalistica nei confronti di transessuali. Il Comitato non ha mai perso l’occasione di apparire sui media per protestare contro la stigmatizzazione e l’esclusione sociale. Nel 1984 gli studenti delle scuole superiori di Bologna scioperarono per un giorno per protestare contro la censura che impediva a noi prostitute di fare una lezione nella loro scuola. Scesero in strada migliaia di studenti, noi eravamo alla testa del grande corteo che attraversò la città. In momenti più tranquilli il Comitato ha potuto produrre scritti, analisi sulla prostituzione e perfino un giornale “Lucciola” che uscì periodicamente per due anni nelle librerie. Con l’apparizione dell’AIDS in Europa abbiamo dovuto intraprendere strategie di prevenzione e così, imparando anche dalle colleghe straniere negli anni ’90 abbiamo dedicato molte delle nostre risorse e competenze per la prevenzione di questa terribile malattia, organizzando gruppi di autoaiuto con le colleghe e qualcosa che in Italia non si era mai visto: le Unita mobili di strada per la prevenzione sanitaria fra le prostitute.
In un paese cattolico e moralista quale è l’Italia non è stato facile parlare di sesso sicuro, condom, ecc.. Con le sole nostre risorse e una agenzia pubblicitaria che ha lavorato gratuitamente (2) abbiamo fatto nel 1995 una campagna di prevenzione rivolta ai clienti, giganteschi poster raffiguranti un condom comparvero sui muri delle città italiane, o sulle pagine di riviste e quotidiani. Nessuno potè ignorarli.
Nonostante tutto il nostro Paese rimane fortemente segnato dalla cultura dominante cattolica e dalla presenza del Vaticano che influenza le politiche dei governi sui temi che coinvolgono la sessualità, la condanna morale si trasforma in esclusione sociale e in pratiche proibizioniste e repressive, così ancora nel 2000 il Comitato è uscito con un appello raccogliendo firme in Italia e in Europa per il diritto di esistere come prostitute.
All’appello per l’affermazione dei diritti ha risposto anche un artista sensibile ai problemi sociali e famoso per porli all’attenzione del pubblico trasformati in forma di arte concettuale, anche l’arte ha la sua evoluzione come ogni cosa e come in passato gli artisti sono spesso paladini e cantori delle prostitute. L’artista Sloveno Tadej Pogacar ha aperto le porte della Biennale d’Arte di Venezia “Platea dell’umanità” ad un Congresso Mondiale delle sex worker, una vetrina ideale per esporre le prostitute globali del terzo millennio arrivate a Venezia da diversi paesi del nord, sud ,est del mondo. Porre di fronte ai passanti la questione della prostituzione in uno spazio altro, irreale quello dell’arte, ma con un aspetto così reale e concreto ha obbligato i passanti a confrontarsi con le prostitute e a dialogare con loro. In un contesto dove le prostitute erano incluse nell’opera d’arte e fuori gli esclusi erano loro i passanti.
Attualmente i cambi epocali che stanno avvenendo nel mondo globalizzato hanno cambiato molto il mercato sessuale e la condizione di vita e di lavoro delle prostitute è notevolmente peggiorata. Per le donne immigrate non europee in particolare la condizione è molto precaria ed esse devono affrontare oltre la repressione della prostituzione anche quella contro l’immigrazione. Queste donne devono essere aiutate per diminuire la loro vulnerabilità e sostenere il loro empawerment, noi abbiamo scelto di lavorare con loro affinchè migliori la loro condizione ed esse possano transitare senza danni nel loro percorso di migrazione e prostituzione. La scelta della solidarietà a volte non è condivisa da alcune prostitute italiane che percepiscono le straniere come delle concorrenti che minacciano i loro guadagni. Ma per le fondatrici del Comitato è una scelta irrinunciabile. Le leggi che attualmente vengono fatte o che vengono propone sono brutte, illiberali, violano il dettato costituzionale e sono crudeli. Anche sulla prostituzione soffia un vento di restaurazione sui modelli regolamentaristi ottocenteschi, sarà una lotta dura i prossimi anni per le prostitute in Italia, una sfida.
Guerre, povertà, carestie e conseguenti migrazioni di massa sono fenomeni che ci impongono di non rimanere indifferenti e di fare appello ai nostri governanti per ottenere politiche più generose verso i più svantaggiati e maggior giustizia sociale.

martedì 17 marzo 2009

Roma, Sabato 28 marzo 2009, ore 10.00, Villa Mirafiori - Il prisma della prostituzione. Sesso al lavoro e società del controllo. Un dibattito aperto.

Intervengono


Stefano Becucci

insegna Sociologia della devianza e Sociologia delle migrazioni presso il Dipartimento di Studi Sociali dell’Università di Firenze. Tra le sue pubblicazioni studi suifenomeni criminali, sui movimenti sociali e sui processi migratori in Italia. Con S. Ciappi ha pubblicato Sociologia e criminalità. Prospettive teoriche e strumenti di ricerca, Franco Angeli 1999; con M. Massari, Globalizzazione e criminalità, Laterza 2003. Ha scritto La
città sospesa. Legalità, sviluppo, società civile a Gela, EGA-Edizioni Gruppo Abele 2004; Criminalità multietnica. I mercati illegali in Italia, Laterza 2006 e con E. Garosi, Corpi globali. La prostituzione in Italia, Firenze University Press, 2008. Interverrà su: “Prostituzione e sfruttamento sessuale: i recenti cambiamenti nel contesto italiano”.


Emilio Quadrelli

ha scontato in gioventù alcuni anni di carcere, dove ha raccolto testimonianze sull’assetto carcerario. Laureato in Lettere, ha conseguito un dottorato di ricerca. Si è occupato di body building e di sollevamento pesi, ha pubblicato saggi e ricerche sulla cultura delle palestre, ha lavorato come operatore sociale. Ha scritto, con Alessandro Dal Lago, La città e le ombre. Crimini, criminali, cittadini, Feltrinelli 2003; Andare ai resti. Banditi, rapinatori, guerriglieri nell’Italia degli anni Settanta, DeriveApprodi 2004; Gabbie metropolitane. Modelli disciplinari e strategie di resistenza, DeriveApprodi 2005; Evasioni e rivolte. Migranti, Cpt, resistenze, Agenzia X 2007; Autonomia operaia.
Scienza della politica e arte nella guerra dal ’68 ai moviemnti globali, NdA Press 2008. Attualmente è ricercatore al Dipartimento di Scienze Antropologiche dell’Università di Genova. Il suo intervento verterà sulla stretta relazione tra guerra, neocolonialismo e violenza sulle donne. Inoltre parlerà delle esperienze delle donne di banlieue sotto il profilo politico e sociale, assumendolo in quanto modello “empirico” da prendere in considerazione.


Maria Pia Covre

ha fondato nel 1982 insieme a Carla Corso il Comitato per i diritti civili delle prostitute (CDCP). Nel 1985 aprono la rivista “Lucciola”. Il 27 Gennaio 2009, è intervenuta di fronte alle Commissioni riunite Affari costituzionali e Giustizia illustrando gli aspetti negativi del disegno di legge Carfagna. È stata tra le firmatarie (120 associazioni in tutto) del documento Prostituzione e tratta, diritti e cittadinanza, le proposte di chi opera sul campo.


Tamar Pitch

insegna Sociologia del Diritto alla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Camerino e collabora a numerose riviste, tra le quali Democrazia e diritto e Dei diritti e delle pene. Fa parte dell’associazione delle giuriste italiane, GIUdIt. È direttrice della Rivista SQC. Fa parte del comitato scientifico del Progetto città sicure della Regione Emilia Romagna ed e’ giudice onorario presso il Tribunale per i minorenni di Roma. Ha svolto ricerche sui temi del controllo sociale, della questione criminale, dei diritti umani.
Negli ultimi anni si è occupata in particolare del rapporto tra titolarità e uso dei diritti nel caso delle donne e delle cosiddette minoranze etniche. I suoi lavori sono: La devianza, La Nuova Italia 1975; Sociologia alternativa e nuova sinistra negli Stati Uniti d’America, La Nuova Italia 1977; Tra diritti sociali e cittadinanza. Il movimento delle donne e la legge sulla violenza sessuale, in Problemi del socialismo, 27/8, 1983; La sessualità, le norme, lo Stato in Memoria 17, 1986; Diritto e rovescio: studio sulle donne e il controllo sociale, Esi 1987; Con F. Faccioli Senza patente. Una ricerca sull’intervento penale sulle minorenni a Roma, Franco Angeli 1989; Responsabilità limitate. Attori, conflitti, giustizia penale, Feltrinelli 1989; con E. Campelli, F. Faccioli, V. Giordano, Donne in carcere, ricerca sulla detenzione femminile in Italia, Feltrinelli 1992; Diritto e diritti: un percorso nel dibattito
femminista, in Democrazia e diritto, 33, 2, 1993; Limited Responsiblities, Routledge 1995; Antropologia dei diritti umani, in: Giasanti, Maggioni, I diritti difficili, Cortina 1996; Un diritto per due. La costruzione giuridica di genere, sesso e sessualità, Il Saggiatore 1998; con C. Ventimiglia, Che genere di sicurezza. Donne e uomini in città, Franco Angeli 2001; I diritti fondamentali: differenze culturali, disuguaglianze sociali, differenza sessuale, Giappichelli 2004; La società della prevenzione, Carocci 2006.

anche io sono una puttana

the prostitution prism

ROMA SABATO 28 MARZO VILLA MIRAFIORI ORE 10.00

IL PRISMA DELLA PROSTITUZIONE. SESSO AL LAVORO E SOCIETA' DEL CONTROLLO.

lunedì 16 marzo 2009

L'intervento di Pia Covre di fronte alle commissioni riunite Giustizia e Affari costituzionali del Senato in data 27 gennaio 2009

Attraverso le ordinanze dei sindaci, in anticipo sul ddl che si sta discutendo, si è avviata nel paese una criminalizzazione delle persone che esercitano la prostituzione. Questo le espone a metodi e turni di lavoro pericolosi per la incolumità psicofisica e le costringe ad allearsi con soggetti criminali per sopravivere. Perché è evidente che la prostituzione per le più svantaggiate è un mezzo di sopravivenza, anzi spesso l’unico mezzo possibile.
Inoltre la repressione si fa senza considerare che la prostituzione di strada riguarda in buona parte donne e minori stranieri di entrambi i sessi vittime di sfruttamento. In pratica si criminalizza le vittime e non gli sfruttatori.
Volutamente si ignora che la lotta allo sfruttamento non si realizza con l’eliminazione della prostituzione di strada, visto che violenza, sfruttamento, riduzione in schiavitù già sono presenti in una parte della prostituzione al chiuso esercitata negli appartamenti o in locali notturni.
Si ignora che chi si prostituisce non commette reati contro terzi ma spesso li subisce (violenze, stupri, rapine, sfruttamento, riduzione in schiavitù).
In questo modo si sottraggono risorse alle forze dell’ordine e alle attività di indagine e contrasto verso il crimine, congestionando ulteriormente gli uffici giudiziari.
Il problema così si nasconde non si elimina, concretizzando il rischio che ancora di più le reti criminali organizzino lo sfruttamento della prostituzione al chiuso, magari in palazzine interamente dedicate a questo e comprate a prezzo di saldi data la crisi del mercato.
C’è bisogno di protezione dei diritti di chi fa lavoro sessuale e di chi è prostituita. Di opportunità per una maggior integrazione sociale. Contrasto delle reti criminali che sfruttano e non delle reti di sostegno come avviene applicando il reato di favoreggiamento anche alle stesse lavoratrici che si aggregano per auto-difendersi. Si dovrebbe pensare a un modello coperativistico di organizzazione di questo lavoro.
E’ necessario individuare nel territorio più aree da destinare a “zoning flessibili” dove si possa liberamente incontrare la domanda con l’offerta, e dove ci siano i requisiti per proteggere l’integrità fisica delle/dei lavoratrici/ori del sesso, attivare un intenso lavoro di riduzione del danno con Unità di Strada per la prevenzione sanitaria e per conoscere il fenomeno e il contesto in cui si deve agire. Esistono già esperienze che ne hanno dimostrato la fattibilità come a Mestre.
Vorrei però anche dire che tante lavoratrici/ori del sesso vorrebbero maggiore rispetto per la loro libera scelta ed essere riconosciute come lavoratrici. Persone che non desiderano cambiare attività e che non ritengono accettabile questa linea proibizionista che le vuole rendere criminali. Molte che già lavorano in appartamento lamentano la esagerata discrezionalità della legge che consente alle polizie di chiudere i loro appartamenti e impedire di lavorare anche in proprio. Sarebbe tempo di cambiare l’attitudine verso il lavoro sessuale, qualunque sia il territorio dove una persona decide di esercitare, perché di fatto nel lavoro sessuale in primis i territori sono i nostri corpi, con i quali ci esponiamo sul mercato del sesso commerciale. Corpi di donne, trans, straniere e italiane su cui si esercitano la violenza di genere, razzista, e anche istituzionale. Chiediamo politiche che ci liberino dalla violenza, violenza che è generata dal sistema sociale delle disuguaglianze in cui si fonda la violenza di genere, ma anche la violenza istituzionale conseguenza delle leggi proibizioniste sulla migrazione e sulla prostituzione. Spesso vedo passare come in un film 2000 anni di storia della prostituzione: vedo donne in carcere, ai lavori forzati, nei campi di sterminio nazisti, razziate dagli eserciti come bottino di guerra, messe al rogo, rinchiuse nei manicomi e nei sifilocomi, in certe epoche poche si salvavano, solo le sottomesse. Una repressione delle donne prostitute durata secoli non è bastata a eliminare il fenomeno. Solo poche ci hanno lasciato storie meno brutali: le prostitute sacre che erano rispettate, le cortigiane che avevano una posizione sociale quasi rispettabile, le donne perdute ma salvate dall’amore. Noi del terzo millennio non vorremmo finire i nostri giorni in carcere per aver venduto un po’ di amore.
Siamo consapevoli che il fenomeno è complesso e che vanno fatte scelte coraggiose includendo nelle decisioni le dirette interessate che possono essere una risorsa utile per trovare soluzioni funzionali.
Se vi fosse un autentico desiderio di liberare il mondo dalla prostituzione non sarà possibile farlo con la repressione come si è visto nei secoli di storia.
Sarà necessario sconfiggere la povertà nel mondo e accrescere le opportunità sociali e lavorative per donne e transessuali di tutte le età per ridurre drasticamente l’offerta di prostituzione dettata dai bisogni di sopravivenza. Non è difficile se si eliminano le spese per le guerre e si investe sullo sviluppo sostenibile non consumistico dei popoli.
E infine per ridurre la domanda di sesso commerciale è indispensabile pianificare per i prossimi 50anni a cominciare dalle scuole elementari l’educazione dei giovani, in particolare maschi, in tema di sessualità, differenza di genere e pari opportunità. Nonché rispetto delle differenze e dei Diritti Umani.

Razzismo di stato, di Anna Maria Rivera, Il Manifesto, 13 marzo 2009

La «preferenza nazionale» era uno slogan del Front National francese in voga negli anni '80. Ma il Front National è un partito di estrema destra che mai è stato accolto in un governo. Che oggi siano due ministri della Repubblica italiana - prima Bossi, oggi il più compassato Sacconi - a proporre la preferenza nazionale, rispettivamente sulla casa e sui lavori stagionali, è cosa che fa rabbrividire. Non solo ci conferma ciò che temiamo: l'uscita a destra dalla crisi. Ma ci prospetta che la torsione reazionaria sarà perseguita attivamente e incoraggiata.
Il disegno è chiaro e riecheggia le fasi più cupe della storia del Novecento. Già oggi ne è in atto un dispositivo fondamentale, quello che mira a dirottare l'incertezza del futuro e il disagio popolari verso i più deboli fra i deboli: i rom e i migranti più precari. La costruzione dell'«emergenza-stupri», con il corollario forcaiolo di innocenti mostrificati e additati tramite i media al pubblico ludibrio, a questo serve: ad aizzare il «razzismo dei piccoli bianchi», così che coloro che vedono minacciati i propri scarsi privilegi possano sfogare frustrazione e rabbia su coloro che sono socialmente più vicini ma un po' più in basso.
La gestione autoritaria e razzista della crisi economica esige uno stato di eccezione permanente. E questo colpisce non solo stranieri e minoranze, ma gli stessi cittadini italiani maggioritari. Il pacchetto-sicurezza contiene misure persecutorie contro gli «estranei» ed anche norme miranti a reprimere il dissenso, il conflitto sociale, la libertà di espressione. Fino a conferire al ministro dell'Interno la facoltà di sciogliere gruppi «eversivi» e di oscurare siti telematici che invitino «a disobbedire alle leggi». In questa strategia, il circolo vizioso del razzismo di Stato - razzismo mediatico, xenofobia popolare - occupa un posto centrale: si reprime il dissenso e il conflitto sociale e nel contempo, con l'aiuto decisivo dei media, si additano capri espiatori verso i quali è possibile indirizzare la protesta di ceti popolari colpiti dalla crisi economica. I capri espiatori a loro volta sono resi più vulnerabili ed attaccabili dagli effetti della crisi, dalla privazione della casa e del lavoro, ma soprattutto da norme persecutorie che mirano ad umiliarli, emarginarli, de-umanizzarli, negando loro diritti umani elementari: il diritto alla salute e alla famiglia, il diritto di mandare del denaro a casa e perfino di riconoscere i propri figli...
Ci sono modi e modi per uscire da una crisi che, certo, è globale ma si riflette in modo particolarmente pesante su paesi, come l'Italia, devastati da politiche neoliberiste e dalla debolezza e incoerenza dei sistemi di protezione sociale. Obama cerca d'indicare l'uscita della solidarietà e della coesione sociale, dell'incremento dei diritti dei più deboli, della difesa delle minoranze. La destra che ci governa e i poteri che rappresenta additano la strada della «cattiveria» e del razzismo, sperando così che rancori e conflitti orizzontali permettano loro di restare in sella. È accaduto più volte nel corso della storia. Ma il fatto che sia uno schema classico non ci rassicura affatto.

venerdì 13 marzo 2009

Teme la denuncia e non va in ospedale prostituta muore di Tbc, rischio contagio, di Mara Chiarelli, La Repubblica, 13 marzo 2009

Il caso. Bari, per i sanitari la donna era malata da mesi: una semplice visita poteva salvarla
Il primario: la tubercolosi va curata subito, basta un colpo di tosse per contrarla

BARI - Era clandestina da alcuni mesi, per vivere faceva la prostituta e per paura non è andata in ospedale: è morta per tubercolosi polmonare avanzata, e dunque altamente contagiosa. E ora scatta l'allarme sanitario: Joy Johnson, la giovane nigeriana di 24 anni, trovata agonizzante da un cliente venerdì sera nelle campagne alle porte di Bari, potrebbe aver contagiato decine di persone che avevano avuto rapporti con lei, gli stessi soccorritori e i connazionali del centro d'accoglienza dove per un mese aveva vissuto. Per precauzione ieri è stato chiuso l'istituto di medicina legale del Policlinico. E medici e poliziotti invitano chi avesse avuto rapporti con la nigeriana a contattare il più vicino ospedale.

Quella di Joy era una tragedia annunciata. All'arrivo dei sanitari del 118, Joy Johnson, da novembre in città, perdeva sangue dalla bocca. La ragazza era malata da diversi mesi, ma se si fosse sottoposta a un esame del sangue o a una radiografia, oggi sarebbe ancora viva. L'allarme, ora, e l'invito a farsi controllare è rivolto ai clienti e a tutti coloro che dal 14 novembre (data di arrivo al Cara di Bari) hanno avuto contatti ravvicinati con lei. Tra questi, quell'uomo che, usando il telefono cellulare di Joy Johnson, ha chiesto aiuto alla polizia.

"La tubercolosi va curata subito - dichiara il primario di Pneumologia del Policlinico di Bari, Anna Maria Moretti - perché anche le forme inizialmente non contagiose, senza terapia adeguata, lo possono diventare". Basta un colpo di tosse per contrarla, visto che si diffonde per via aerea. "È consigliabile sottoporsi a un test, l'intradermo reazione alla turbercolina, da fare in ospedale - spiega la specialista - Si tratta dell'inoculazione sotto cute di una sostanza che produce una reazione, da monitorare a casa per tre giorni. Se fosse positiva, va fatta la radiografia al torace, ma questo lo deve decidere il medico".

Si associa all'invito, ridimensionando l'allarme, il questore di Bari, Giorgio Manari: "E' idoneo e opportuno - dichiara - rispettare ciò che un medico e le autorità sanitarie dicono in questo senso". Subito dopo aver ricevuto il referto dell'autopsia, effettuata dal medico legale Francesco Introna, il pm incaricato delle indagini, Francesco Bretone ne ha dato comunicazione alle Asl, come prevede la legge. Immediati è scattata la profilassi nel Cara e nei confronti di chiunque abbia avuto contatti con la giovane donna, anche dopo il decesso. In caso di contagio accertato, la terapia, di tipo farmacologico, è lunga (dai sei ai nove mesi) ma dà il controllo totale della malattia.

Bisogna però, sostengono i medici, tenere più alta l'attenzione su una patologia che, considerata scomparsa, si sta nuovamente manifestando in Italia a causa di due fattori: scarsa prevenzione e l'arrivo di extracomunitari che si portano dietro malattie endemiche nei loro Paesi, come la tubercolosi e l'Aids.