lunedì 16 marzo 2009

L'intervento di Pia Covre di fronte alle commissioni riunite Giustizia e Affari costituzionali del Senato in data 27 gennaio 2009

Attraverso le ordinanze dei sindaci, in anticipo sul ddl che si sta discutendo, si è avviata nel paese una criminalizzazione delle persone che esercitano la prostituzione. Questo le espone a metodi e turni di lavoro pericolosi per la incolumità psicofisica e le costringe ad allearsi con soggetti criminali per sopravivere. Perché è evidente che la prostituzione per le più svantaggiate è un mezzo di sopravivenza, anzi spesso l’unico mezzo possibile.
Inoltre la repressione si fa senza considerare che la prostituzione di strada riguarda in buona parte donne e minori stranieri di entrambi i sessi vittime di sfruttamento. In pratica si criminalizza le vittime e non gli sfruttatori.
Volutamente si ignora che la lotta allo sfruttamento non si realizza con l’eliminazione della prostituzione di strada, visto che violenza, sfruttamento, riduzione in schiavitù già sono presenti in una parte della prostituzione al chiuso esercitata negli appartamenti o in locali notturni.
Si ignora che chi si prostituisce non commette reati contro terzi ma spesso li subisce (violenze, stupri, rapine, sfruttamento, riduzione in schiavitù).
In questo modo si sottraggono risorse alle forze dell’ordine e alle attività di indagine e contrasto verso il crimine, congestionando ulteriormente gli uffici giudiziari.
Il problema così si nasconde non si elimina, concretizzando il rischio che ancora di più le reti criminali organizzino lo sfruttamento della prostituzione al chiuso, magari in palazzine interamente dedicate a questo e comprate a prezzo di saldi data la crisi del mercato.
C’è bisogno di protezione dei diritti di chi fa lavoro sessuale e di chi è prostituita. Di opportunità per una maggior integrazione sociale. Contrasto delle reti criminali che sfruttano e non delle reti di sostegno come avviene applicando il reato di favoreggiamento anche alle stesse lavoratrici che si aggregano per auto-difendersi. Si dovrebbe pensare a un modello coperativistico di organizzazione di questo lavoro.
E’ necessario individuare nel territorio più aree da destinare a “zoning flessibili” dove si possa liberamente incontrare la domanda con l’offerta, e dove ci siano i requisiti per proteggere l’integrità fisica delle/dei lavoratrici/ori del sesso, attivare un intenso lavoro di riduzione del danno con Unità di Strada per la prevenzione sanitaria e per conoscere il fenomeno e il contesto in cui si deve agire. Esistono già esperienze che ne hanno dimostrato la fattibilità come a Mestre.
Vorrei però anche dire che tante lavoratrici/ori del sesso vorrebbero maggiore rispetto per la loro libera scelta ed essere riconosciute come lavoratrici. Persone che non desiderano cambiare attività e che non ritengono accettabile questa linea proibizionista che le vuole rendere criminali. Molte che già lavorano in appartamento lamentano la esagerata discrezionalità della legge che consente alle polizie di chiudere i loro appartamenti e impedire di lavorare anche in proprio. Sarebbe tempo di cambiare l’attitudine verso il lavoro sessuale, qualunque sia il territorio dove una persona decide di esercitare, perché di fatto nel lavoro sessuale in primis i territori sono i nostri corpi, con i quali ci esponiamo sul mercato del sesso commerciale. Corpi di donne, trans, straniere e italiane su cui si esercitano la violenza di genere, razzista, e anche istituzionale. Chiediamo politiche che ci liberino dalla violenza, violenza che è generata dal sistema sociale delle disuguaglianze in cui si fonda la violenza di genere, ma anche la violenza istituzionale conseguenza delle leggi proibizioniste sulla migrazione e sulla prostituzione. Spesso vedo passare come in un film 2000 anni di storia della prostituzione: vedo donne in carcere, ai lavori forzati, nei campi di sterminio nazisti, razziate dagli eserciti come bottino di guerra, messe al rogo, rinchiuse nei manicomi e nei sifilocomi, in certe epoche poche si salvavano, solo le sottomesse. Una repressione delle donne prostitute durata secoli non è bastata a eliminare il fenomeno. Solo poche ci hanno lasciato storie meno brutali: le prostitute sacre che erano rispettate, le cortigiane che avevano una posizione sociale quasi rispettabile, le donne perdute ma salvate dall’amore. Noi del terzo millennio non vorremmo finire i nostri giorni in carcere per aver venduto un po’ di amore.
Siamo consapevoli che il fenomeno è complesso e che vanno fatte scelte coraggiose includendo nelle decisioni le dirette interessate che possono essere una risorsa utile per trovare soluzioni funzionali.
Se vi fosse un autentico desiderio di liberare il mondo dalla prostituzione non sarà possibile farlo con la repressione come si è visto nei secoli di storia.
Sarà necessario sconfiggere la povertà nel mondo e accrescere le opportunità sociali e lavorative per donne e transessuali di tutte le età per ridurre drasticamente l’offerta di prostituzione dettata dai bisogni di sopravivenza. Non è difficile se si eliminano le spese per le guerre e si investe sullo sviluppo sostenibile non consumistico dei popoli.
E infine per ridurre la domanda di sesso commerciale è indispensabile pianificare per i prossimi 50anni a cominciare dalle scuole elementari l’educazione dei giovani, in particolare maschi, in tema di sessualità, differenza di genere e pari opportunità. Nonché rispetto delle differenze e dei Diritti Umani.

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