giovedì 16 aprile 2009

Roberta Tatafiore

L'Unità:
Il suicidio di Roberta Tatafiore
di Adele Cambria

Me la ricordo, Roberta Tatafiore, che correva attraverso il solenne e semi-diruto cortile del Governo Vecchio occupato dalle donne, e la sua testa di ricci neri corti e lucenti sembrava esprimere visivamente il fermento, la passione intellettuale, che l’animava e non aveva mai tregua in lei: frequentava allora le lezioni del Centro Studi Virginia Woolf, dove arrivava, carismatica, a volte,anche Rossana Rossanda, e Roberta faceva, giovanissima, i suoi esordi di giornalista proprio sulle colonne del prestigioso «quotidiano comunista».

Poi, a un certo punto, incrociò Pia e Carla, la coppia femminile che aveva costituito anche in Italia il Comitato per i Diritti Civili delle Prostitute. Ed insieme a Maria Adele Teodori, giornalista e scrittrice Radicale da sempre, inventarono «Lucciola» - credo che Maria Adele pagasse di tasca propria quel giornale con distribuzione militante - e si divertirono, tutt’e due, Roberta e Maria Adele, una bruna e una bionda, a farsi protagoniste di un fotoromanzo a puntate con l’obiettivo di diffondere tra chi faceva quel «lavoro» la consapevolezza dei propri diritti.

Ben presto, alla metà dei ’70, il Movimento delle Donne si spaccò tra chi - Roberta Tatafiore in testa, Maria Adele Teodori, Michi Staderini (la prima ideatrice del «Virginia Woolf»)- riteneva la prostituzione un lavoro come un altro, e chi invece considerava l’invasione del proprio corpo come la peggiore delle umiliazioni. Dieci anni dopo, l’ideologia della prestazione sessuale femminile in cambio di soldi, elaborata da Roberta, si era già sviluppata in una direzione, quella del «sesso commerciale», che definirei trionfalistica: vendere il proprio corpo, accettare centinaia di contatti(invasioni)da parte di sconosciuti spesso ripugnanti, era una forma di emancipazione della donna che andava vista in modo pragmatico e senza giudizi morali o peggio «moralistici»”.

Era questo che Roberta sosteneva nel suo primo libro sull’argomento, «Sesso al lavoro - Da prostitute a sex workers». Un libro che fece ovviamente scandalo, e Tatafiore, laureata in sociologia, si aprì la strada verso la ricerca (Per l’Eurispes compilava il rapporto annuale sulla pornografia). Il suo linguaggio ormai era quello di una autentica businesswoman, io andavo alle sue conferenze, alle presentazioni dei suoi libri - dopo «Sesso al lavoro» fu «Uomini di piacere… e donne che li comprano» - e mi arrabbiavo regolarmente. Ma restavamo amiche, io un po’ vetero – accanita a sostenere che è l’esistenza del «cliente» il bandolo della matassa - e lei a ribattere: «Siamo state delle avanguardie, trent’anni fa, nella identificazione del “cliente”, come responsabile del fenomeno, ma ora voi che siete rimaste sulle stesse posizioni siete la retroguardia. E Dio non voglia che arrivi anche da noi una legislazione come quella svedese, contro il “cliente” e per la rieducazione delle prostitute!».

In quanto agli uomini di piacere, il discorso di Roberta era ancora più trionfalistico: di fronte a statistiche in Italia ancora insignificanti - uno dei prostituti bisex da lei interpellati calcolava in un rapporto da 1 a 15 le richieste che gli arrivavano da donne e da uomini - per l’autrice di «Uomini di piacere… e donne che li comprano», il potere del danaro congiunto al potere sessuale - che deriverebbe alle nuove «clienti» dall’aver scoperto con il femminismo il diritto al piacere(!)- sarebbe la molla che consente anche alle «donne comuni» di «permettersi il lusso» di pagarsi una certa quantità di sesso mercenario. Come sempre hanno fatto gli uomini.

Avevo perso di vista Roberta negli ultimi tempi. Sapevo che collaborava o aveva collaborato a tutti i quotidiani del centrodestra. Nessun giudizio, per carità! Al contrario, ammiro il suo coraggio: la sua morte così disperatamente eroica - un suicidio, non motivato, pare, da nessuna malattia inguaribile - é sostenuta da un discorso filosofico e letterario iniziato da oltre un anno; e che,approfondito in un testamento ancora non reso noto dalle amiche più vicine a lei, cui è stato indirizzato, forse aiuterà tutti e tutte a riflettere su un passaggio ineluttabile, a cui Roberta ha voluto accedere prima di noi. Per dare anche testimonianza di una società civile, quella italiana, che stenta a crescere su questi temi.

Il suo articolo di qualche mese fa, in difesa del diritto di morire di Eluana Englaro, ne è la prova. E chiudeva così: «Mi chiedo cosa accadrà, dopo la legge che il governo si appresta a varare, di quello spazio privato di anarchia compassionevole, agìta all’interno di relazioni informali… Temo che verrà fortemente ridotto. E correremo il rischio, tutti e tutte, di ritrovarci come ‘farfalle prigioniere’…» Lei ha voluto volare via prima.
16 aprile 2009


Il Manifesto:
di I.D.

ADDIO ROBERTA
La vita doveva essere diventata troppo grave a Roberta Tatafiore, che se n'è andata di sua volontà ieri, a 65 anni, lasciando a un manoscritto indirizzato a pochi amici il perché della sua tragica decisione. Ma Roberta era Roberta, e chiunque l'abbia conosciuta e amata sa quanto irremovibili fossero le sue decisioni, e quanto intimo restasse il suo dialogo con se stessa, inattingibile nel suo nocciolo anche alle amiche, molte e amatissime, di cui si è sempre circondata, e alle sue sorelle Bruna e Luciana altrettanto amate. Molte, del resto, negli ultimi mesi la sapevano all'estero, non potendo immaginare la fine che stava progettando.
Roberta è stata una protagonista di prima fila del femminismo italiano, e di quello romano in particolare, dai primi gruppi di autocoscienza negli anni 70 - il collettivo di Via Germanico, «Donne e Cultura» - al Centro culturale Virginia Woolf negli anni 80 e nei primi 90. Giornalista e scrittrice, a lungo collaboratrice del manifesto, di Radio radicale, della Rai e della Televisione della Svizzera italiana, è stata per molti anni inviata di punta di Noi donne, da cui prese congedo nel '93. Nel 1983 fondò la rivista Lucciole, il primo strumento italiano di analisi della prostituzione dalla parte delle prostitute; da quella prima esperienza nacquero in seguito i suoi libri sul mercato del sesso, Sesso al lavoro (Il Saggiatore '94) e Uomini di piacere (Frontiera '98). Nel sesso commerciale Roberta non vedeva un problema di regolamentazione, repressione e controllo, che anzi contrastava vibratamente, né solo una questione di diritti delle prostitute, bensì un campo d'analisi di quel conflitto fra donne e uomini sulla sessualità, sul desiderio e sull'immaginario che la pratica femminista le aveva insegnato a guardare con occhio libero.
Eccentrica e irriducibile nella sua vocazione libertaria che spesso la metteva in tensione con la sinistra moderata e radicale, era rimasta eccentrica e irriducibilmente libertaria anche quando, a metà degli anni 90, cambiò campo politico, convinta di trovare nella nuova destra più spazi per la sua idea di libertà di quanti ne avesse trovati a sinistra. Sì che anche le sue collaborazioni dell'ultimo quindicennio, con il Foglio, Libero, Il Secolo d'Italia, non avevano perso nulla della sua vis polemica, che si trattasse di opporsi alla moratoria sull'aborto o alla legge sul testamento biologico partorita dal governo. Tra i suoi libri vanno ancora ricordati Le nuove amanti (Lyra Libri '89, con Stefania Giorgi), De bello fallico, storia di una brutta legge sulla violenza sessuale (Baraghini '96), Tra donne e uomini, storie d'amore e di differenza (Il Saggiatore '97). Di lei, non ultima, la sua raggiante bellezza.


La Repubblica:
Suicidio programmato, l'addio shock della femminista Tatafiore
di SIMONETTA FIORI

Autrice di libri sul mercato del sesso a 66 anni ha scelto di scrivere
un diario sulla sua fine. "La mia è stata una scelta", il suo ultimo biglietto.
ROMA - "La mia è stata davvero una scelta", è scritto nell'ultima lettera agli amici, quella del congedo. "Una scelta a lungo riflettuta, preparata, accompagnata negli ultimi tre mesi dalla stesura di un diario, impegno che ha dato luce a questi miei ultimi giorni". In poche righe la costruzione di un suicidio, consumato mercoledì prima di Pasqua in una stanza d'albergo.

Così ha deciso di andarsene Roberta Tatafiore, 66 anni, femminista impegnata, autrice di saggi sulla condizione femminile, sulla pornografia e sul mercato della prostituzione, da De bello fallico a Uomini di piacere e Sesso al lavoro. La notizia della sua morte figurava ieri sul Foglio e sul Manifesto. Un progetto, quello del suicidio, inseguito con gelida determinazione. Prima la "scelta di clandestinità", quel vivere di nascosto dagli amici, dal lavoro, dai giornali ai quali collaborava. Tre mesi di silenzio, anche di bugie - "Sto lavorando in Svizzera, starò a lungo fuori" - interrotto da frettolose telefonate che mai tradivano il suo disegno. Poi la scelta dell'albergo, vicino al suo appartamento dell'Esquilino. Un ultimo saluto alla casa, ai suoi libri, alla gatta, agli oggetti amati della sua bella famiglia calabrese. Le lettere di addio agli amici le ha spedite all'ultimo, missive piene di tenerezza e sorriso. L'ho scelto io, state sereni. Se Silvia Plath prima di ammazzarsi ha imburrato le fette di pane per i figli, Roberta Tatafiore per le persone amate ha lasciato parole lievi. La cameriera l'ha trovata verso sera, una corsa in ospedale, poi il precipitare nel mondo delle "larve nere".

Il tema della morte non le era estraneo. Roberta Tatafiore cercava le "larve nere" nei romanzi e nella cronaca, ne era attratta e al contempo minacciata. "Lasciatemi addormentare come Saffo", così titolava ieri il Foglio una sua pagina sull'aldilà scritta nell'estate di due anni fa. Appare una costruzione letteraria anche questa sua morte, lucidamente inseguita, progettata, e raccontata in un memoriale di una cinquantina di pagine. Come una traccia lasciata agli amici, un gesto di condivisione. "È un diario dei suoi ultimi tre mesi, una cronaca meticolosa del suo progetto di morte", dice Daniele Scalise, giornalista e compagno di molte avventure. "Una sorta di "diario della clandestinità" in cui è dettagliatamente raccontato come Roberta s'è organizzata, che libri ha letto, come ci si prepara al suicidio". Il suicidio come possibilità di un'esistenza piena.

Quale filo spezzato abbia piegato una personalità straripante, vitale, generosa è difficile ora capire. "Come tutte le donne veramente sofferenti", dice Scalise, "Roberta non esibiva il dolore". Spirito irrequieto e profondamente libero, dopo una lunga militanza a sinistra - tra Noidonne, Manifesto e il mensile Lucciola per i diritti civili delle prostitute - negli ultimi tempi s'era avvicinata alla destra, ai suoi giornali, condividendo con Isabella Rauti la rubrica Thelma & Louise sul Secolo d'Italia. Ma anche questo nuovo territorio politico l'aveva delusa. Contro lo "statalismo chiesastico" esibito sul caso Englaro era incentrato nel febbraio scorso un suo appassionato intervento sul sito di DeA, donne e altri, probabilmente il suo ultimo articolo. In primo piano, ancora una volta, il suicidio, in tedesco Freitod, libera morte. Anche questo suo epilogo, in fondo, è rivendicazione di possesso. Ognuno di noi è padrone della propria vita, forse Roberta Tatafiore ha voluto ricordarcelo. Con dolcezza, senza rancore.

(16 aprile 2009)

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