Al Pigneto. Giardini Persiani Nuccitelli. Quartiere in festa, due giorni di Liberazione.
Corteo a S. Lorenzo. "I muri parlano".
25 aprile 2008, Lisasfa, Casablanca. Al mattino gli operai entrano nella fabbrica di materassi di Rosamore, ognuno al proprio piano, le porte vengono chiuse per evitare i furti di materie prime fino alla fine del turno di lavoro. Griglie alle finestre, nessuna uscita di soccorso né porte frangifuoco. Gli estintori vuoti. Si lavora per 350 dirhams (30 euro) la settimana, senza garanzie né coperture sociali (su 220 operai, 40 sono dichiarati alla Cnss). Condizioni di lavoro considerate comunemente arcaiche ma che, in realtà, rappresentano le punte avanzate e più “moderne” di alcune forme di accumulazione. In simili condizioni le possibilità di incidenti non possono che essere all’ordine del giorno. Cosa che si è puntualmente verificata. Un corto circuito al piano terra, l’incendio divampa rapidamente tra materiali quali quelli dei materassi, altamente infiammabili e tossici. Il secondo piano, il reparto femminile del cucito, è blindato. Nelle tre ore che è durato l’incendio, subitanei sforzi sono stati rivolti a salvare la produzione, stoccata al piano terra insieme ai macchinari, mentre ai piani superiori si muore imprigionati di asfissia e ustioni. 55 operaie bruciate vive, un numero imprecisato di feriti.
L’episodio riportato non è un’eccezione e lungo questo anno incendi e morti sul lavoro sono stati all’ordine del giorno, non solo in Marocco ma anche in Italia e nel cosiddetto “Primo mondo”.
Oggi vogliamo ricordare le operaie tessili di Casablanca a un anno di distanza e, in occasione della festa nazionale di Liberazione dal nazifascismo, contro lo sfoggio di tricolori, rievocare quei tratti di lotta internazionalista e antimperialista che appartennero alla Resistenza accanto al suo carattere di liberazione nazionale, ovvero quei tratti smantellati all’indomani stesso della liberazione da quelle forze tradizionali ansiose di cambiar le cose il meno possibile.
Vogliamo ricordare tutte le donne coinvolte nella resistenza, protagoniste e artefici di quella fondamentale esperienza di lotta, il cui ricordo oggi significa l’ininterrotta opposizione a ogni vecchia e nuova forma di oppressione e sfruttamento, di classe e di genere.
«Nella lotta attiva contro il fascismo nel periodo clandestino, e poi nella lotta armata, debbo dire di avere incontrato un numero pari, a occhio e croce, di uomini e di donne. La grande tensione morale di quei momenti, che imponeva una chiara scelta di fondo, esercitava un’azione particolarmente dirompente e liberatoria sulle operaie, casalinghe povere e massaie rurali tartassate dalle campagne demografiche, dalla pressione economica, dall’assenza degli uomini militarizzati nelle imprese imperiali. L’adesione alla Resistenza coinvolgeva generalmente l’intera famiglia, dai nonni, alle donne, ai bambini; i casi in cui un militante antifascista doveva rompere coi familiari per contrasti politici, molto frequenti nei ceti borghesi, erano molto rari tra i contadini e gli operai. E naturalmente la famiglia coinvolta nella Resistenza cessava subito di essere una famiglia tradizionale e patriarcale; i nuovi rapporti col mondo esterno bruciavano i vecchi rapporti interni, e il collettivo democratico prendeva forma immediatamente.» (Joyce Lussu, partigiana e scrittrice, in Padre, padrone, padreterno, Mazzotta 1976)
25 aprile 2009
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